Sbagliando si impara

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Ti è mai capitato di dover aiutare qualcuno a fare qualcosa che per te è facile, quasi automatico, e che invece per questa persona rappresenta un problema e fonte di ansia?
Non parlo necessariamente di cose complicatissime ma di azioni che a te risultano talmente facili da non sapere neanche come spiegare a un altro come le fai, visto che a te vengono naturali.
Per esempio, quando aiuti con un programma al pc qualcuno che, invece, non riesce proprio a capire come funzioni, magari perché non lo ha mai usato al lavoro, mentre per te è uno strumento quotidiano.
Oppure, quando ti chiedono di spiegare un tuo metodo nello svolgere un’attività e tu ti accorgi che, in realtà, non hai mai pensato di avere un vero e proprio metodo, tanto ti viene automatico.
Lo stesso vale quando siamo noi a impazzire per qualcosa che proprio non riusciamo a fare e chiediamo aiuto ad altri.

Nel corso degli anni ho tenuto molti corsi di formazione, con gruppi e singoli, sia in aula che online, e la caratteristica che più ricorre nelle persone che ho incontrato è stata la paura di sbagliare.
Lo riscontro piuttosto frequentemente, con sfumature diverse da persona a persona.
Fortunatamente, con la consapevolezza, la buona volontà e l’impegno, la maggior parte delle persone che ho formato ha capito che un cambiamento è possibile.
Vedere questa trasformazione è sempre molto gratificante.
Soprattutto, è stato ed è per me molto appagante dimostrare con i fatti che non si deve per forza cambiare un aspetto del proprio carattere per evitare che una paura ci blocchi dal fare i passi che vorremmo compiere.


Riprendendo gli esempi che ho fatto all’inizio dell’articolo, è proprio questa paura di sbagliare a fare la differenza.
Un bambino, ai giorni d’oggi, sa già destreggiarsi su un tablet mentre le persone delle generazioni precedenti hanno imparato a utilizzarlo in età adulta.
I bambini, spesso, imparano più velocemente degli adulti.
Questo non succede perché sono più intelligenti ma semplicemente perché non hanno paura di sbagliare: continuano a schiacciare tasti e a selezionare opzioni fino a quando non raggiungono il loro obiettivo.
Una persona di un paio di generazioni più vecchia, invece, si approccia agli strumenti nuovi come se schiacciare un tasto anziché un altro dovesse far partire un missile nucleare, causando lo scoppio di una guerra mondiale.
Il bambino si butta, non si preoccupa delle conseguenze e riesce in breve tempo a dominare lo strumento.
La persona più matura comincia a ragionare, si fa mille domande, poi arriva alla conclusione che per evitare complicazioni è meglio chiedere a qualcun altro e, per non sbagliare, spegne tutto e rimanda a un altro momento la soluzione del problema. 

Ma non è solo una questione di età.
Ci siamo passati tutti, sia nell’aiutare che nel guardare gli altri come se fossero dei marziani per quello che riescono a fare.
Come quando iniziamo un nuovo lavoro e osserviamo con invidia e ammirazione chi è più esperto di noi e, spesso, ci convinciamo che non saremo mai bravi come loro.


Quotidianamente ci vengono proposte notizie di personaggi pubblici che hanno ottenuto grandi successi: attori, cantanti, sportivi e imprenditori…
Viene sempre esaltato il brillante risultato finale.
Sembra sempre che i protagonisti di queste storie siano riusciti al primo colpo e senza fatica.
Magari ci sarà anche chi si è trovato al posto giusto nel momento giusto e grazie a una coincidenza casuale è riuscito a capitalizzare risultati importanti in breve tempo ma si tratta di pochissimi casi.

La realtà è diversa.
La stragrande maggioranza delle persone di successo ha dovuto e saputo affrontare mille imprevisti e difficoltà.
Queste persone hanno capito meglio di altri che sbagliare non significa essere stupidi o incapaci, è qualcosa che può capitare. Soprattutto, hanno saputo far tesoro dei propri errori, andando avanti con fermezza verso l’obiettivo prefissato.

Thomas Edison, indicato come l’inventore della lampadina (anche se non sono tutti d’accordo nell’attribuirgli questa paternità industriale ma il suo perfezionamento), era solito dire che il genio è “per l’1 per cento ispirazione e per il 99 per cento sudore”.

Nella sua vita, fondò 14 aziende (tra le quali la General Electric), registrò più di mille brevetti, portò la luce nel mondo e diventò incredibilmente ricco.
Il risultato finale per la lampadina lo ottenne dopo anni di tentativi falliti.
Non riusciva a trovare il tipo di filamento giusto per la sua invenzione.
Giorno dopo giorno, per ben 1.600 volte ottenne solo risultati negativi.
Chi non si sarebbe scoraggiato al posto suo?
Invece Edison non si abbatteva e interpretava ogni singola prova andata male in modo positivo, vedendola, più che un fallimento, come un’indicazione di come non si dovesse procedere, e quindi un passo in direzione del successo, che alla fine infatti arrivò, premiando la sua costanza e determinazione.
Al tentativo numero 1.601.

Questa costanza e l’atteggiamento positivo nei confronti dei fallimenti sono sempre associati all’umiltà di capire che il modo in cui siamo abituati a vedere le cose non è l’unico possibile e, forse, neanche il migliore per riuscire nel proprio scopo.

Pensiamo a un atleta o un musicista: non insiste a fare un movimento fino a quando lo effettua nel modo giusto ma continua a eseguirlo fino a quando non lo fa più nel modo sbagliato, perché tale movimento è stato memorizzato e introiettato al punto da poterlo ripetere sempre bene.
C’è una differenza sostanziale!
Con il continuo allenamento, inoltre, e attraverso gli errori, si affrontano tutte le possibilità, imparando di volta in volta la strada giusta per arrivare alla perfezione.

Per imparare a vincere, bisogna saper perdere (leggi anche questo articolo già pubblicato: https://spiccailvolo.it/vincitori-e-vinti-perche-nella-vita-bisogna-saper-perdere/ )


Chi non sbaglia mai, probabilmente non ha mai fatto nulla.

Si dice anche che le decisioni giuste vengono dall’esperienza, dimenticandosi però di ricordare anche che l’esperienza è la somma di tutte le decisioni sbagliate che abbiamo preso precedentemente.

Sbagliando si impara.
Certo, poi si tratta di non ripetere gli stessi errori, altrimenti non si combina nulla.
Ma tanti sbagli commessi sono serviti come monito per fissare bene un comportamento futuro.
Ce ne ricordiamo sicuramente tutti di sbagli fatti nel nostro percorso scolastico o al lavoro, e anche quelli fatti, pur con le migliori intenzioni, nel mondo del volontariato.

Se vogliamo veramente avere un miglioramento, non solo per noi ma anche per gli altri, forse dovremmo cominciare a vincere un’altra paura legata agli errori e capire che condividerli può essere il modo migliore per evitare che qualcuno li commetta nuovamente.

Spicca il volo!
Riccardo

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