Presto che è tardi! Quando in associazione è un problema rispettare gli orari

  • Autore dell'articolo:
  • Categoria dell'articolo:Articoli

È il giorno in cui ci si incontra con gli altri membri dell’associazione per una serata formativa oppure per un’assemblea importante e, al solito, il momento previsto per iniziare viene posticipato per il ritardo di alcuni.
Tra questi, qualcuno arriva sistematicamente un quarto d’ora dopo, altri anche di più.
La cosa genera malumori tra chi, invece, si è presentato in orario, se non addirittura con abbondante anticipo.
Le posizioni tra le due fazioni, puntuali e ritardatari, si fanno sempre più nette e gli animi si surriscaldano dopo le giustificazioni dei ritardatari, plausibili per questi ultimi ma reputate come le solite scuse da parte di chi invece è puntuale.

Ti sei già ritrovato in una situazione di questo tipo?
Immagino che ti vengano in mente centinaia di occasioni, a prescindere dal fatto che tu sia, solitamente, puntuale oppure fra quelli che arrivano abitualmente in ritardo.

Abbiamo tutti un collega molto affidabile nel rispetto delle scadenze e un altro, invece, che dobbiamo continuamente pressare per farci consegnare un lavoro perché altrimenti lo slittamento eccessivo delle tempistiche ci rende difficile portare a termine il nostro compito.
Così come ognuno di noi ha un amico al quale, dovendo fissare un appuntamento, deve dare un orario anticipato per non doverlo aspettare per ore.
Inoltre è interessante notare come la definizione puntuale/ritardatario cambi a seconda del contesto: chi è puntuale al lavoro, per esempio, può essere un ritardatario in altri contesti, come quello associativo o se deve incontrare gli amici.

Quindi, sembrerebbe che non sempre si possa definire in modo assoluto una persona come ritardataria o puntuale, ma come tendenzialmente tale.

Vediamo di chiarire alcuni punti.

Alcune persone sostengono che la nostra vita senza orologi sarebbe più serena.
D’altro canto, sarebbe molto difficile portare avanti un qualsiasi impegno che preveda l’incontro e la collaborazione con altre persone.
Dovremmo dire: “Ci vediamo mercoledì mattina” oppure “Ci incontriamo quando abbiamo finito entrambi di lavorare”, espressioni poco precise, in termini di tempo.

Col passare dei secoli si è cercato di misurare il tempo.
Uno dei primi strumenti utilizzati, fin dal 3.500 a.C., sono state le meridiane ma le variazioni quotidiane di alba e tramonto non rendevano precisa la misurazione, soprattutto in caso di nuvole e di pioggia.
Acqua e sabbia sono state successivamente usate nelle clessidre, per arrivare poi ai primi antenati degli orologi.
Le campane delle chiese, fin dal Medioevo, per quanto molto spesso non precise negli orari, hanno per secoli accompagnato le attività quotidiane dei popoli occidentali.
Oggi definiamo l’unita di misura del tempo, il secondo, come la durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini, da (F=4, MF=0) a (F=3, MF=0), dello stato fondamentale dell’atomo di cesio-133 (fonte Wikipedia).

Tralasciando questa definizione tanto complicata e probabilmente a conoscenza solo di fisici e matematici, quello che ci interessa è capire il modo in cui percepiamo il tempo che scorre e come lo gestiamo.

Secondo la terapeuta cognitiva e psicologa londinese Harriet Mellotte, le persone ritardatarie non sono volutamente maleducate o pigre, anche se l’effetto del loro comportamento sembra generare in chi li aspetta questa convinzione di fondo.

Chi non è puntuale è visto come disorganizzato, nella maggior parte di casi, se non addirittura maleducato e privo di considerazione per gli altri.
Ma non è così: al contrario, in molti casi sono persone organizzate e che desiderano mantenere relazioni felici con il prossimo (familiari, amici, colleghi) e quindi tendono a sovraccaricarsi di impegni per non deludere nessuno.

Le persone ritardatarie, inoltre, molto spesso sono consapevoli del disagio che provocano e delle conseguenze negative del loro comportamento.
Al tempo stesso non riescono a modificarlo e il ritardo rimane intrinseco in loro.

Non me la sento di accettare la giustificazione che i ritardatari sono così come sono e quindi ci si debba rassegnare al loro ritardo.
Per comprendere ancora meglio le differenze puntuali e ritardatari ci vengono in aiuto alcuni studi.

David Robinson, professore di psicologia alla San Diego State University, ha effettuato un esperimento per dimostrare come le persone ambiziose e competitive siano più puntuali di quelle più creative e riflessive, che sembrano avere una percezione del tempo “più lento”.
Robinson ha distinto i partecipanti in persone di tipo A (ambiziose, competitive) e di tipo B (creative, riflessive, esplorative). L’esercizio consisteva nel valutare, con occhi chiusi e senza nessun ausilio esterno, quando fosse trascorso un minuto dopo aver dato il via all’esercizio.
Le persone di tipo A sentivano che era passato il minuto previsto quando erano trascorsi circa 58 secondi.
I partecipanti di tipo B avevano la sensazione invece che fosse passato un minuto dopo 77 secondi effettivi.

A conclusioni analoghe giunge anche lo psicologo statunitense Philip Zimbardo, secondo il quale la propensione al ritardo è collegata alla prospettiva temporale individuale. Zimbardo individua cinque possibili categorie nelle quali possono rientrare le prospettive temporali:
1. passivo-negativo,
2. passivo-positivo,
3. presente-fatalistico,
4. presente-edonistico,
5. futuro.

Secondo Zimbardo, ognuno di noi rientra tendenzialmente in uno dei suddetti gruppi, per quanto queste categorie di “prospettive temporali” non siano sempre universalmente accertabili e siano più riscontrabili nelle culture incentrate sull’orologio, quindi principalmente quelle occidentali.

Zimbardo studia come le persone si dispongano psicologicamente nel tempo (passato, presente o
futuro) e su come si pongono a livello di sentimenti e atteggiamenti nei confronti del tempo (classificandoli come positivi, negativi, edonistici o fatalistici).


Se una persona si ritrova nella categoria “passato negativo”, in base a questa catalogazione sarebbe concentrata su esperienze negative in passato.
Nel “passato positivo” si ritrovano le persone con una visione più nostalgica o sentimentale, ricercando calore emotivo nel ricordo dei tempi passati.
La categoria “presente-edonistico” caratterizza chi si prende dei rischi nel presente, senza valutarne troppo le conseguenze future.
Una visione “presente-fatalistica” denota invece il comportamento di chi non ha molta speranza per il futuro mentre chi rientra nella categoria con una prospettiva temporale futura è focalizzato su obiettivi a lungo termine.
La conclusione di Zimbardo è che coloro che sono focalizzati sul futuro sono anche meno propensi ad essere in ritardo.
Le persone orientate al presente, invece, sono quelle più inclini al ritardo.

Non a caso, infatti, gli stessi studi hanno rivelato come le persone nel Nord Europa sarebbero più concentrate sul futuro di quelle del Sud Europa, con una prevalenza di spagnoli e italiani orientati sulla visione presente del tempo (e quindi più propensi al ritardo dei primi).

Ma detto di tanti studi, alla fine, come possiamo fare per risolvere il problema?

Molti dei ritardatari sono stati definiti anche come persone estremamente ottimiste. 
Ottimisti soprattutto nel valutare le proprie abilità di gestire i molti impegni che fissano nella propria agenda, assolutamente certi di poterli rispettare tutti.

Ahimè, molto spesso non è così e, al primo intoppo, i ritardi si accavallano, facendo slittare gli impegni successivi.
Ridurre i troppi impegni e cercare di averne meno e gestirli meglio potrebbe essere la soluzione per alcuni ritardatari cronici.
Insomma, sfatiamo il mito del multitasking e del voler fare tutto senza aiuti.
Anche a costo di scontentare qualcuno nell’immediato.  (Su questo argomento, vedi anche l’articolo 
sull’importanza di saper dire di no, anche nel mondo del volontariato)

Soprattutto, arrabbiarsi con il ritardatario non porta assolutamente a nulla, se non a far alzare ancora di più la pressione delle persone puntuali.

Gli studiosi e gli esperti, dunque, consigliano di cercare di entrare in empatia con il ritardatario cronico e di chiedere sempre quale sia stata la vera motivazione della mancata puntualità all’appuntamento previsto.

Una forma di dialogo costruttiva tra le parti porta a un risultato migliore nel lungo periodo, prendendo una posizione e stabilendo dei limiti fissando dei paletti chiari e condivisi.

Per esempio, dicendo:
“Ti aspetto fino alle 15.00, poi dovrò partire, sappilo.”
oppure
“L’incontro è fissato alle 20.30 e la riunione inizia alle 20.45 con una parte introduttiva. Alle 21.00 si comincia e per non rovinare l’esito della serata, non è consentito l’ingresso successivamente”.

Soprattutto, cercando di trovare una decisione il più possibile condivisa dal gruppo, in modo che non sia una regola imposta ma alla definizione della quale ha partecipato il gruppo nella sua totalità.

Se ci pensi bene…è impossibile essere puntuali.
Mi spiego meglio: se abbiamo previsto di vederci alle 20.00, è altamente improbabile che una persona arrivi esattamente alle ore 20, minuto zero, secondo zero.
Ci sarà chi si presenterà magari prima (dalle ore 19.59 e 59 secondi e ogni momento precedente) e chi si presenterà un pochino dopo (dalle ore 20.00 e 1 secondo in poi).
Quindi, ci saranno per definizione due gruppi: quelli che saranno in anticipo rispetto all’orario fissato e quelli che arriveranno in ritardo, essendo arrivati dopo le 20.00. 
Dobbiamo fare in modo di ridurre il gap tra le parti in modo da rendere tollerabile per entrambi i gruppi il cuscinetto di tempo che si creerà.
Nessuno è perfetto ma possiamo anche in questo allenarci a stare meglio insieme. 

Spicca il volo!
Riccardo

Se ti è piaciuto condividi!