Negli anni ’70, le sale giochi negli Stati Uniti erano luoghi che portavano con sé un certo fascino, ma non avevano esattamente una grande reputazione. Non erano considerate ambienti accoglienti per tutti: spesso percepite come club per giovani ragazzi, caratterizzate da luci soffuse e bagni poco curati. Quel nuovo modo di aggregare i giovani facendoli giocare ai videogame arriva da noi negli anni ’80, quando cominciarono a spuntare nelle maggiori città, molto spesso vicino ai primi fast food che venivano aperti.
In quel periodo, i videogiochi erano principalmente incentrati sull’azione: uccidere alieni o nemici di ogni tipo. Le aziende produttrici di videogiochi si resero conto dopo poco tempo che questo limitava molto il loro pubblico. E così, una delle aziende giapponesi più importanti decise di cambiare rotta, cercando di creare un gioco che fosse adatto a un pubblico più ampio, incluse donne e bambini. Questo fu l’inizio di qualcosa di rivoluzionario.
Un’idea semplice che cambiò tutto: nasce Pac-Man
Il compito di progettare un videogioco che attirasse una nuova tipologia di giocatori venne affidato a un giovane autore e creatore giapponese di nome Toru Iwatani. Il suo obiettivo era chiaro: ideare un gioco che potesse piacere a chiunque, non solo agli appassionati di azione e combattimenti. La sua intuizione si dimostrò vincente. Il gioco che creò, introdotto in Giappone il 22 maggio 1980, divenne un fenomeno globale: Pac-Man.
Pac-Man è uno di quei giochi che, anche se non ci hai mai giocato, conosci per fama. Semplice, ma geniale. Il giocatore controlla un simpatico personaggio giallo e circolare, Pac-Man appunto, che si muove in un labirinto cercando di mangiare tutti i puntini presenti sullo schermo mentre viene inseguito da quattro fantasmi dai colori brillanti: Blinky, Pinky, Inky e Clyde. A rendere il gioco ancora più intrigante era la possibilità di ribaltare la situazione: Pac-Man, mangiando un punto più grande, poteva temporaneamente diventare il predatore e cacciare i fantasmi.
Ma da dove nacque l’idea di un personaggio così particolare? Iwatani racconta che l’ispirazione gli venne mangiando una pizza. Tolta una fetta, si accorse che il resto della pizza sembrava un piccolo personaggio con una bocca aperta, e così nacque Pac-Man. Ma non si fermò qui. La sua idea non era solo di creare un gioco, ma di dare vita a qualcosa che avesse un fascino universale.
La semplicità come chiave per la felicità
In un’intervista, Iwatani spiegò che, per attrarre un pubblico più ampio, si ispirò a un bisogno umano fondamentale: mangiare. Secondo lui, l’atto di mangiare era qualcosa che univa tutti, indipendentemente dal genere o dall’età. Ed è su questa idea che basò l’intera esperienza di gioco. Invece di combattere nemici o uccidere invasori alieni, Pac-Man mangiava per vincere.
A me piace molto trarre ispirazione da cose magari lontane tra di loro al primo sguardo. L’intuizione del brillante creatore giapponese è per me un potente promemoria per la nostra vita quotidiana, anche per chi lavora nel volontariato o si dedica alla crescita personale: spesso cerchiamo soluzioni complicate per attrarre l’interesse degli altri o per risolvere i problemi. Ma a volte, le risposte più efficaci sono quelle più semplici. I bisogni fondamentali sono universali e non richiedono grandi teorie per essere soddisfatti.
Anche nel volontariato, dove ci impegniamo per fare la differenza nella vita delle persone, l’aspetto più importante è spesso quello più semplice: dare ascolto, offrire sostegno, costruire connessioni genuine. Non è sempre necessario fare gesti grandiosi per portare un cambiamento positivo; a volte, è sufficiente essere presenti e rispondere ai bisogni essenziali degli altri.
Pac-Man e la lezione sulla resistenza
Un altro aspetto secondo me molto interessante di Pac-Man riguarda il suo gameplay. Ogni volta che completavi un labirinto, venivi immediatamente catapultato nel successivo, senza una vera e propria pausa o ricompensa. Sì, c’era una breve schermata lampeggiante, ma poi… di nuovo al lavoro, nel labirinto successivo. Se ci pensi, è un po’ come la vita reale (e qui ci puoi mettere dentro tutto, dalle occupazioni quptidiane a casa o in ufficio, a scuola come nel volontariato): raggiungi un traguardo, ma subito dopo ne arriva un altro. Non c’è un vero “fine”, ma un continuo processo di impegno e crescita.
Questo ci insegna una lezione importante: la perseveranza. Nel volontariato e nella crescita personale, non si finisce mai davvero di imparare o di aiutare. Ogni volta che pensiamo di aver raggiunto un obiettivo, c’è sempre qualcosa di nuovo da affrontare, un’altra sfida da superare. Come in Pac-Man, dove il gioco sembra ripetersi all’infinito, anche nella vita impariamo che il cammino è continuo, ma questo non deve scoraggiarci. Anzi, è proprio il processo che ci fa crescere e migliorare.
Raggiungere il livello 256: l’importanza di accettare i limiti
Una delle curiosità più famose di Pac-Man riguarda il livello 256. Nessuno poteva superarlo perché un problema di programmazione creava un bug che rendeva impossibile andare avanti. Questo ci ricorda che, nonostante tutti i nostri sforzi, ci sono momenti in cui dobbiamo accettare i nostri limiti. Anche nella crescita personale, spesso ci troviamo a fronteggiare ostacoli che sembrano insuperabili. È in quei momenti che dobbiamo imparare a fermarci, riflettere e accettare che non sempre possiamo controllare tutto.
Questa lezione è particolarmente valida anche nel mondo del volontariato: per quanto ci impegniamo e facciamo del nostro meglio, non possiamo risolvere ogni problema o aiutare ogni persona come vorremmo. L’importante è accettare che i limiti fanno parte del processo e che ciò che conta davvero è l’impegno e la dedizione che mettiamo nel nostro lavoro.
Pac-Man: un fenomeno globale e senza tempo
Il successo di Pac-Man fu straordinario. Nel 1980, quando il gioco arrivò negli Stati Uniti, divenne immediatamente il gioco più richiesto. Alcune sale giochi arrivarono a comprare intere file di console Pac-Man per soddisfare la domanda crescente. Solo nel 1981, gli americani spesero più di un miliardo di dollari giocando a Pac-Man, una moentina alla volta. Pensateci: un miliardo di dollari in monete da 25 centesimi! Questo dimostra quanto profondo sia stato l’impatto culturale di Pac-Man, un gioco che, grazie alla sua semplicità e universalità, conquistò il cuore di milioni di persone.
Ma c’è un’altra lezione importante da imparare qui: nonostante i nostri sforzi per rendere tutto complesso e strutturato, spesso sono le idee più semplici che risuonano di più con le persone. Questo vale per ogni campo della vita, dalla crescita personale al volontariato. Alla fine, ciò che conta è creare connessioni, offrire esperienze significative e rendere felici gli altri. E Pac-Man, nella sua semplicità, lo fece alla perfezione.
Il ruolo del designer: creare per la felicità
Toru Iwatani, il creatore di Pac-Man, disse una volta: “Non ho avuto alcuna formazione specifica; sono completamente autodidatta. Non mi adatto allo stampo di un designer di arti visive o di un graphic designer. Avevo semplicemente un’idea forte di cosa sia un game designer. Qualcuno che progetta progetti per rendere felici le persone. Questo è lo scopo di un game designer.”
Questo messaggio è incredibilmente potente e si applica non solo al design e alla creazione di giochi, ma anche alla nostra vita quotidiana, al volontariato e alla crescita personale. Anche se non abbiamo una “formazione perfetta”, possiamo comunque fare la differenza. Possiamo creare qualcosa di significativo, aiutare gli altri e contribuire a rendere il mondo un posto migliore. Il segreto sta nell’avere una visione chiara del nostro scopo e nel dedicarsi a questo con passione e autenticità.
Conclusione: trova il tuo scopo e rendi felici gli altri
Per alcuni amanti del gioco, Pac-Man non è solo un gioco, è una lezione di vita. Non ho l’ardire di sottoscrivere questa affermazione ma di certo gli elementi sopra descritti che ne hanno fatto uno dei videogiochi più venduti al mondo sono un interessante spunto di riflessione: ci insegna che la semplicità può essere potente, che perseverare è fondamentale e che, nonostante i limiti che incontriamo, possiamo sempre fare la differenza. Che tu stia lavorando nel volontariato, nella formazione o nella tua crescita personale, la lezione è chiara: trova il tuo scopo e dedicati a rendere felici gli altri. Perché alla fine, come ci insegna Iwatani, questo è lo scopo più nobile di tutti.