Il burnout nel volontariato

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Sembra ieri che hai cominciato a svolgere un’attività di volontariato e invece sono già passati 5-6 anni, se non di più.
Col passare del tempo però, pur restando emotivamente legato alle attività che svolgi e al gruppo associativo, qualcosa sembra essersi ingarbugliato e i servizi e incontri di gruppo hanno cominciato a essere meno stimolanti e piacevoli.
In sostanza, se prima svolgevi con il sorriso le attività associative, che rappresentavano una ventata di positività nel tuo quotidiano, da qualche mese ti sei accorto che le fai più che altro per dovere, e che ti riesce sempre più difficile trarne piacere.

La prima cosa che fai è minimizzare il problema.
“Ma sì, passerà” hai cominciato a ripeterti da qualche settimana.
Giorno dopo giorno, però, ti accorgi che la situazione non solo non migliora, ma che sta prendendo una piega ancora peggiore.

Ti riesce sempre più difficile trovare il tempo che hai scelto di dedicare al volontariato: gli impegni personali sono aumentati, la tua vita è cambiata e magari da studente che eri ora ti ritrovi a gestire il lavoro e una famiglia.
Per stare dietro a tutto ti servirebbero giornate di 36 ore!
E anche se avessi delle ore in più probabilmente aumenterebbero anche le cose da fare e ti ritroveresti al punto di partenza.

Cominci quindi a lasciare indietro qualcosa e a fare delle rinunce: tra queste, il volontariato.

Ti senti in colpa perché non vuoi abbandonare il gruppo di cui fai parte ma ti ritrovi a fare volontariato con meno sprint.
Svolgi le attività con il pilota automatico, l’energia iniziale dei primi tempi si è affievolita e le cose che prima ti appassionavano ora ti strappano solo un sorriso forzato, le fai per dovere e non più per piacere.

In poche parole, sei entrato in una fase di burn out.
“Burn out” è un termine utilizzato principalmente per descrivere la situazione di chi svolge un lavoro impegnativo, soprattutto sul piano emotivo, e si sente sopraffatto.

Il burnout è una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale.
Può colpire chiunque, indipendentemente dalla professione o dal settore di attività.
Anche a un livello meno intenso, può minare l’atteggiamento di una persona rendendola insoddisfatta rispetto a cose che prima riusciva a gestire in modo rilassato ed erano fonte di energia positiva.

Anche nel volontariato, il burnout è un fenomeno che sempre più diffuso.
Soprattutto se l’attività prevede un grande investimento emotivo e personale, che sottopone i volontari a situazioni di stress e di disagio.

Le cause del burnout nel volontariato possono essere molteplici.
Tra le più comuni ritroviamo un impegno sempre maggiore, soprattutto quando gli impegni ricadano sulle spalle di poche persone.
Gruppi numerosi sulla carta, per esempio con molte persone iscritte nel registro dei soci, ma che poi ne vedono attivamente impegnati meno della metà.
Con la conseguenza che un numero molto ristretto di persone che devono provvedere anche a tutti gli obblighi associativi: la parte amministrativa con i verbali delle assemblee, le decisioni da prendere per tenere fede agli impegni, i bilanci,
l’assicurazione, etc.
Tutti compiti che vanno portati a termine, nei tempi previsti, onde evitare che l’associazione perda il suo titolo a esistere.

La mancanza di un supporto interno nel gestire tutte queste pratiche porta chi se occupa a immolarsi alla causa, fino a quando poi non ce la fa più a sostenere tutto.
Quando scatta il campanello d’allarme, generalmente ben interpretato dalla frase “Devo fare tutto io!” è ormai tardi.

Come possiamo evitarlo?
Possiamo fare in modo che tutti i soci si sentano sempre coinvolti e che, quindi, le attività possano essere suddivise su una base più ampia di persone in modo da ridurre il carico di ciascuno.
Facile a dirsi ma più complicato a farsi.
Sappiamo che il passaggio pratico è difficile: quello che non capiamo subito e cadendo nello sconforto è che però non è impossibile!
Ma se non si comincia, non si potrà raggiungere nessun risultato positivo.
Iniziamo a coinvolgere maggiormente le persone in associazione, anche con cose marginali ma sempre funzionali al gruppo. 

Un’altra attività che avvantaggia l’associazione e contribuisce a ridurre il rischio di burnout è la ricerca costante di volontari.
L’ingresso di nuovi soci fornisce un nuovo obiettivo a chi è in associazione da più tempo, fare da tutor agli ultimi arrivati, riscoprendo nella gioia di chi arriva le motivazioni che lo hanno portato a intraprendere proprio quel cammino.
Come si dice: spiegando e rispiegando qualcosa a qualcun altro, la capisco meglio anche io! E rifaccio il pieno di energia.
Energia che può anche essere ritrovata con corsi di formazione e motivazionali per il gruppo.

Per evitare il burnout è fondamentale stimolare il più possibile il dialogo interno al gruppo.
È fondamentale che ogni socio abbia la possibilità di esprimere come si sente, di manifestare le proprie difficoltà, certo di essere accolto e di potersi confrontare con chi è passato attraverso analoghe esperienze, per trovare nella condivisione con il gruppo la forza di reagire.

Se leggendo questo articolo hai pensato a quando ti sei sentito/a in situazioni vicine al burnout o se ti ha ricordato un momento in cui un altro socio te ne ha parlato, ti invito a fare un passaggio ulteriore.
Prova a metterti dall’altra parte, cioè nella posizione di chi può aiutare un compagno di associazione nell’affrontare un momento particolare, ascoltando.
Non devi fare lo psicologo se non ne hai le competenze (ci mancherebbe) ma semplicemente esserci.
Essere presente e far capire con il tuo esempio quanto ogni persona sia importante in associazione, momenti negativi compresi.
È il migliore investimento che possiamo fare: aiutarci nelle difficoltà per superarle insieme, come in un passaggio di testimone dove nessuno è un supereroe ma dove a turno ci si sostiene per crescere insieme.

Spicca il volo!
Riccardo

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