Devo fare tutto io! Quando il presidente deve (vuole) fare tutto…

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“Anni passati a impegnarsi per l’associazione e poi, alla fine, il presidente vuol fare tutto da solo…”
Tipica situazione nella quale si trovano molte associazioni di volontariato nelle quali un referente dell’associazione accumula responsabilità sempre crescenti e, col passare del tempo, si muove in maniera sempre più autonoma, a volte addirittura senza consultare gli altri.
Mi riferisco principalmente al presidente per semplicità di ragionamento ma potrebbe tranquillamente essere un altro componente del consiglio direttivo oppure il responsabile di un progetto dell’associazione, che agisce in modo praticamente autonomo e senza relazionarsi con gli altri, comportandosi come un individuo anziché come parte di un gruppo (per quanto la responsabilità legale spetti sempre al presidente).

L’associazione, in questi casi, smette di essere una realtà collettiva e diventa la rappresentazione del pensiero di un singolo che, seppur con le migliori intenzioni, accentra ogni responsabilità e compito.
Esasperando il concetto secondo il quale a volte si fa prima a far da sé che a spiegare a un altro come portare a termine un determinato compito, queste persone concentrano su di sé tutto il lavoro dell’associazione.

Il presidente potrebbe motivare questo comportamento con il suo ruolo di responsabile legale dell’associazione; il referente di un progetto, invece, potrebbe sentirsi più a suo agio nel fare tutto da solo per concluderlo prima.
Bisogna però considerare che gli effetti positivi che si possono ottenere negli aspetti pratici e nel brevissimo periodo alla lunga rendono le cose molto più complicate per l’associazione.

Abbiamo così il presidente che, oltre a svolgere le mansioni legate al suo ruolo, tende a
“vampirizzare” ogni compito, svolgendo anche quelli più banali.
E, a chi gli fa notare che sarebbe meglio coinvolgere anche altri soci, generalmente risponde:
“Se non le faccio io le cose, non le fa nessuno…”.
Come se fosse l’unico paladino a difesa del benessere associativo.

Sarà anche vero che la verità sta nel mezzo ma il punto è che un presidente tuttofare ha come conseguenza che si smetta di parlare di un’associazione nel vero senso della parola, vale a dire un gruppo di persone come elemento fondante dell’ente di volontariato.

Generalmente gli accentratori si lamentano della scarsa operatività degli altri soci e non si rendono conto di aver preso decisioni e fissato impegni senza averle prima condivise con gli altri, generando, quindi, malumori all’interno di un gruppo che non si sente tale, visto che viene informato solo a cose fatti.
Anche quando le intenzioni sono buone e nell’interesse dell’associazione, quello che infastidisce i soci è il fatto che il presidente si comporti come se, più che un’associazione, fosse un’azienda, nella quale il potere decisionale viene imposto anziché condiviso con gli altri soci, che sono tutte sullo stesso piano al di là dei ruoli formali.


Come si esce da questa situazione di impasse?
Caro presidente tuttofare, te lo dico chiaramente.
Essere chi tira il carro è un ruolo che hai scelto ma dividere la fatica è chiaramente meglio.
Anche se condividere le decisioni implica tempi più lunghi, porta pazienza e impegnati a coinvolgere il più possibile gli altri soci in modo da condividere il peso della responsabilità.


Nel lungo periodo, questa si rivela sempre la decisione migliore per il tuo benessere psicofisico e per evitare di sentirti ingabbiato in un ruolo sempre più amministrativo-burocratico e sempre meno in linea con la vera mission associativa.
Evita di comportarti come l’amministratore condominiale che si arrabbia perché i condomini non rispettano le direttive e torna a fare anche il volontario e i servizi che ti hanno portato in quel gruppo, ritrovando l’energia e la voglia di dedicarsi al gruppo che ti ha scelto come presiedente.
Ricordati che sei un socio, oltre che presidente, e coinvolgi tutti i soci per il bene associativo.

Ogni tanto è bello vedere per le strade la maestria di una persona che, da sola, riesce a suonare contemporaneamente più strumenti, usando le mani per suonare la chitarra, soffiando nell’armonica con la bocca e tenendo il tempo con un il piede.
La musica di un’orchestra è però tutta un’altra cosa, e questo anche se è impegnativo trovare 40 persone che riescano a trovare il tempo per riunirsi, per esercitarsi e trovare un’armonia con strumenti differenti.
È indubbiamente più complicato.
Ma la resa è sicuramente migliore del risultato che un singolo, pur bravo, può raggiungere.
Vale la fatica fatta per arrivare a quel risultato.
Più che diventare un “one man show”, scegli di essere il miglior direttore d’orchestra possibile, per il bene tuo e della tua orchestra/gruppo associativo.

Soprattutto, dopo un po’ chiedi il cambio, e torna nell’orchestra lasciando il compito di dirigere a qualcun altro.

Spicca il volo!
Riccardo

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