Correva l’anno 2010 e un’azienda francese aveva appena lanciato sul mercato dei giochi da tavola l’ultimo dei suoi prodotti. Un gioco particolare che avrebbe avuto il suo picco di vendite con le feste natalizie.
Il gioco si chiamava Plan Social, e la letterale traduzione in italiano, Piano Sociale, non spiega benissimo lo scopo del gioco.
Ogni giocatore incarna un azionista di un’azienda.
Per arrivare alla vittoria è necessario licenziare tutti i dipendenti e ottenere la possibilità di delocalizzare l’azienda in Cina, con possibilità di migliori guadagni dovuti alla produzione a costi più bassi.
Come si gioca?
All’inizio di una partita, ogni giocatore riceve 7 carte.
Su ognuna delle 52 carte a disposizione sono raffigurati i volti dei dipendenti da licenziare, con l’indicazione della mansione ricoperta in azienda.
Tra questi, ad esempio, il responsabile degli incidenti sul lavoro, l’assistente al marketing, le persone addette alla segreteria o alla contabilità.
Alle descrizioni che corrispondono ai ruoli caratteristici presenti in azienda ne vengono affiancati altri, con intento provocatorio:
la lavoratrice senza documenti regolari oppure il posatore di amianto, per fare un esempio.
Comunque, a prescindere dal ruolo indicato sulle carte da gioco, sono tutti dipendenti da allontanare il prima possibile per garantirsi il successo.
Il primo giocatore sceglie quale dipendente licenziare e mette in atto la sua strategia.
I giocatori successivi possono licenziare un dipendente dello stesso settore o dello stesso livello gerarchico.
Quando un giocatore, in base alle carte di cui dispone in quel momento, non può licenziare nessuno, deve pescare un’altra carta, rallentando così il cammino verso la delocalizzazione in Cina (e quindi verso la vittoria della partita).
Ci sono delle carte speciali che attribuiscono a chi le pesca particolari possibilità di gioco e che possono essere utilizzate durante la partita per fare fronte agli imprevisti aziendali.
Vince il giocatore/azionista che per primo riesce a licenziare tutti i suoi dipendenti e che guadagna punti in base alle carte rimaste nelle mani degli altri giocatori.
Il gioco termina quando un giocatore raggiunge i 200 punti. Può quindi trasferire la sua attività in Cina.
I creatori del gioco si preoccuparono subito di presentarlo come umoristico e satirico, senza fini socio-educativi (e ci mancherebbe altro!) ma la cosa comunque non può che far riflettere.
Questo gioco da tavola destò grande interesse alla sua uscita e fece parlare molto di sé, non solo entro i confini nazionali.
Che fosse per il contesto provocatorio o per le astute manovre di marketing collegate, fu un boom di vendite.
Anche perché la campagna pubblicitaria che ne accompagnò il lancio fu decisamente aggressiva e suggeriva che chi avesse acquistato Plan Social avrebbe potuto rivelare i propri istinti predatori e la propria intrinseca crudeltà.
Non sono un moralista e non mi scandalizza tanto il gioco in sé, ma trovo inquietante il messaggio che venne passato con il suo lancio.
Non mi soffermerò tanto su questioni sociali legate al discorso relativo al lavoro e su quanto questo rappresenti, in un’epoca in cui molti faticano a trovarlo o a vedersi realizzati e felici in quello che fanno, né a considerare le implicazioni legate alle delocalizzazioni di molte industrie che hanno trasferito la propria produzione nell’Europa dell’Est o in Asia.
Quando un problema viene fatto passare per gioco, viene implicitamente banalizzato.
Soprattutto, viene suggerito il principio secondo il quale è meglio trovare in fretta una rapida soluzione piuttosto che sforzarsi di trovarne una più equa per tutte le parti in causa, ancorché più complicata.
Questo è il pericolo che corriamo nella vita di tutti i giorni, scegliendo la via più facile anziché cercarne una magari più complessa ma più soddisfacente per tutti, più rispettosa delle differenti sensibilità.
Anche nella nostra vita associativa come volontari oppure nel nostro percorso di formazione e crescita personale, ci ritroviamo spesso a dover scegliere e a dover gestire situazioni di potenziale conflitto.
Spesso ci troviamo fra due posizioni contrapposte e cerchiamo di avvicinarci il più possibile a una posizione intermedia che non scontenti troppo nessuna delle parti.
Il problema è che, così facendo, non ci accorgiamo che l’altro risultato raggiunto è stato sicuramente quello di non soddisfare a pieno nessuno.
Oppure è una sola delle parti a decidere, comportandosi esattamente come il giocatore dell’esempio, che licenzia e va avanti per la sua strada per raggiungere il suo scopo, senza tenere conto di tutti gli interessi coinvolti.
L’obiettivo deve essere trovare una nuova strada che tenga conto dei rispettivi punti di partenza, per quanto distanti, partendo dai valori presenti in entrambe le posizioni per costruire non un compromesso ma una nuova opportunità.
Nelle discussioni, nei conflitti, in ogni occasione nella quale ci troviamo in disaccordo, esprimiamoci in modo da convincere l’altro della nostra opinione senza volerlo sconfiggere o imporre il nostro punto di vista.
E se vogliamo veramente migliorare, in futuro, concediamoci la stessa possibilità e lasciamo all’altra persona l’opportunità di fare lo stesso con noi.
Spicca il volo!
Riccardo