Cosa dovrei fare? Cambiare domanda!

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Spegni la televisione e il cellulare, sei in bagno che ti lavi i denti prima di andare a dormire e ti guardi allo specchio.
Fissi la persona davanti a te e le scarichi addosso tutti i compiti e incombenze da fare il giorno successivo:
“domani devi fare quella relazione al lavoro, devi mandare quella e-mail al fornitore, devi pagare la bolletta della luce, devi fare la spesa, devi…devi…devi…”.

Un peso incredibile che, molto spesso, carichiamo da soli sulle nostre stesse spalle, aumentando ansia e stress.

Passiamo anni a lamentarci di quanto sia complicata la nostra vita, senza accorgerci che siamo proprio noi a crearci mille difficoltà.

Secondo uno studio di tre ricercatori della Harvard Business School, l’utilizzo di una parola e una piccola sostituzione nel nostro abituale modo di parlare possono aiutarci a migliorare la situazione, abbandonando le problematiche consuete e aiutandoci a trovare nuove idee per risolvere i dubbi che ci affliggono.

Prima di svelarti la sostituzione linguistica suggerita da questo studio, ti faccio un esempio.

Ti è mai capitato che un amico ti abbia chiesto di aiutarlo a prendere una decisione di fronte a un dilemma?
Generalmente, dopo aver raccontato la situazione nella quale si trova, l’amico ti rivolge la domanda delle domande:
“Cosa dovrei fare?”.
Spesso è difficile dare un consiglio.

La ricerca dimostra che la prima cosa da fare è sostituire il verbo “dovere” con il verbo “potere”, incentivando un cambio non solo lessicale ma di comportamento.

Non più domandarsi “Cosa dovrei fare?” ma passare a “Cosa potrei fare?”.

Spesso i dilemmi ci mettono di fronte alla necessità di fare dei compromessi tra valori che, in quell’occasione, sono in competizione tra loro, e per questo rappresentano le sfide più complicate.
Può capitare in ambito familiare oppure, più spesso, in quello lavorativo, dove, magari, rispettare le indicazioni dei superiori ci mette in crisi perché in contrasto con la nostra etica.
Anche nel volontariato potremmo trovarci a dover capire quale sia la decisione “giusta”, sapendo che la nostra scelta avrà delle conseguenze, delle quali magari non sappiamo ancora bene interpretare la portata.

Di fronte a situazioni che rivelano un problema di fronte al quale dobbiamo prendere posizione, la maggior parte delle persone si chiede:
cosa dovrei fare?

Al contrario, quando la questione non riguarda ciò che per noi è etico, le probabilità che ci si ponga questa domanda sono decisamente inferiori.
Questo è un aspetto positivo perché pensare a cosa si “dovrebbe fare”, circoscrive le possibilità: la persona che ti chiede aiuto ha già limitato le alternative a due sole possibili scelte e chiede a te di aiutarlo a prendere la decisione finale.

In sostanza, ha già definito lo scenario all’interno del quale scegliere:
bianco o nero, dentro o fuori, vita o morte, giusto o sbagliato.
Che è proprio la definizione stessa di dilemma: un’alternativa tra due posizioni (generalmente) contrapposte e contrastanti.
Si usa infatti l’espressione “porre una persona davanti a un dilemma” per
intendere che la scelta tra decidere se andare a sinistra oppure a destra di fronte a un bivio sia determinante per il prosieguo non solo del cammino ma della sua vita nel suo complesso.

Spesso si confonde il termine dilemma con quello di scelta, che invece va utilizzato quando, in realtà, si ha una terza possibilità da considerare, allargando le opzioni a disposizione della persona che si trova a scegliere e togliendola dalla situazione di stallo di fronte alla quale, invece, il dilemma la pone.

Quindi,
una opzione equivale a non avere scelta,
due opzioni costituiscono un dilemma,
tre opzioni ci offrono una scelta, una terza via che ci permette di uscire da una logica tra due possibilità contrapposte e allargare la visione d’insieme.

Esattamente come quando, in un conflitto, la soluzione che accontenta entrambe le parti non è un compromesso tra le due posizioni dei singoli coinvolti ma una terza via che sia veramente un cambio di prospettiva e soddisfacente per entrambi.

È proprio in quest’ottica che la sostituzione tra “Cosa dovrei fare?” con “Cosa potrei fare?” ci aiuta a trovare molte più soluzioni e, soprattutto, soluzioni migliori.
Soluzioni che riescono a sottrarsi a un aut-aut dettato da una situazione che non sappiamo come risolvere.
Quello che appare come un semplice cambio di parole, da “dovrei” a “potrei”, in realtà apre ampie prospettive.

Scegliere tra “dovrei fare” e “potrei fare” ci aiuta anche ad avere una mentalità più positiva e a impegnarci nell’attuare un pensiero divergente, stimolando la capacità di produrre risposte originali ed efficaci.
Questo avviene ancora di più nei gruppi, dove uno stimolo alla discussione può generare molte più soluzioni.

Come tutti gli spunti dei quali scrivo nei miei articoli, mi metto prima alla prova in prima persona.
Solo in un secondo momento, li propongo ad altri.

Posso confermare che, come in ogni cosa, è necessario un po’ di allenamento ma poi molte situazioni che prima sembravano ingarbugliate trovano una loro maggiore fluidità.

Provaci anche tu.

Spicca il volo!
Riccardo

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