Vincitori e vinti: perché nella vita bisogna saper perdere?

  • Autore dell'articolo:
  • Categoria dell'articolo:Articoli

L’altro giorno ero a casa di amici e, dopo cena, abbiamo cominciato a giocare a un gioco da tavolo, un gioco piuttosto semplice per far partecipare anche la figlia di 4 anni dei miei amici.
Si comincia e tutto procede bene fino a quando la piccola giocatrice non si accorge che la situazione di gioco non le avrebbe permesso di raggiungere una comoda vittoria. Comincia a lamentarsi e a insistere per cambiare gioco e sceglierne uno che le consentisse di vincere facilmente.

Vincere è bello, non c’è niente da fare…che sia in un gioco da tavolo oppure in una competizione sportiva. Per non parlare di come ci renda euforici per una vittoria della squadra di calcio per la quale facciamo il tifo e come rimaniamo male quando la squadra perde una partita importante.
Per vittoria possiamo anche intendere un riconoscimento, un premio di qualsiasi tipo che certifichi che siamo stati bravi a fare qualcosa, e che ci dia gratificazione e picco di autostima.

In maniera analoga, anche se diametralmente opposta, associamo la sconfitta al fallimento e al non sentirci capaci, non solo relativamente al singolo episodio ma su tutta la linea.
Cominciamo a pensare di essere dei falliti.
Ci siamo passati tutti nel nostro cammino di crescita e abbiamo cominciato a capire che fa parte del gioco.
O meglio, pensiamo di aver capito qualcosa perché poi, a conti fatti, non sempre siamo in grado di far fronte in maniera produttiva alle difficoltà sopraggiunte.
A volte la reazione dopo un insuccesso o una situazione complicata è scomposta e irrazionale.
Pensate a un giocatore che inveisce contro l’arbitro per una penalità, anche se in cuor suo è consapevole di non avere ragione. Oppure quando ce la prendiamo per una multa, quando sappiamo di non aver rispettato le regole.

Giustifichiamo il nostro comportamento sostenendo che la nostra situazione è particolare e siamo sempre alla ricerca di qualcuno a cui dare la colpa per i nostri insuccessi.
Cominciamo da bambini, quando ci scagioniamo dicendo che non è colpa nostra se non abbiamo fatto i compiti ma di chissà quale congiunzione astrale…e poi continuiamo da grandi arrivando a scuse sempre più sofisticate e complesse, con un unico obiettivo: toglierci dalla situazione di sconfitto e addossare ad altri la colpa del fallimento.
E queste situazioni si verificano in ogni contesto: in famiglia, al lavoro, con gli amici, nelle associazioni di volontariato!
Quello che ci mettiamo sempre troppo a capire è che saper perdere è utile e importante!

PROGRAMMATI PER VINCERE

Maarten Boksem, neuroscienziato e docente presso la Rotterdam School of Management dell’Erasmus University, ha effettuato un test sul cervello di un gruppo di volontari durante un gioco, utilizzando uno scanner per la risonanza magnetica ed elettrodi per elettroencefalogramma.
Analizzando i dati, ha osservato che il cervello delle persone che perdevano reagiva in modo identico modo a chi prova un dolore molto forte e acuto.
Boksem ha dimostrato che lo stress provocato dalla sconfitta era molto intenso e, pertanto, la reazione del cervello consisteva nel cercare di vincere per non ritrovarsi in una situazione dolorosa come quella provata dopo la sconfitta.
La zona del cervello denominata corteccia cingolata anteriore si attiva e invia dei segnali negativi per indurre la persona a imparare dai propri errori e fare meglio in futuro per evitare sensazioni spiacevoli, un po’ come un bambino che sta imparando ad andare in bicicletta e registra i movimenti migliori volta dopo volta per evitare di cadere e farsi male.
A livello neurologico, quindi, siamo programmati per cercare di vincere e arrivare primi.
I primitivi delle caverne dovevano vincere per assicurarsi di sopravvivere e procacciarsi il cibo in un mondo completamente diverso da quello a cui siamo abituati oggi ma lo stimolo è identico.

Abbiamo sostituito la caccia perché ci basta andare al supermercato ma quella voglia di primeggiare per essere il migliore in ufficio o nel nostro gruppo di riferimento e averne quindi un riconoscimento sociale genera lo stesso tipo di impulsi.

A questo si affianca il concetto che, oltre a vincere, vogliamo anche non perdere rispetto ad altri, e questo rafforza la competizione e il confronto.
Se smarrisco una banconota da venti euro mi infastidisco ma poi me ne faccio una ragione; se invece la perdita di questi 20 euro è legata a una scommessa fatta con un amico e alla fine perdo, è più probabile che il nervoso e l’arrabbiatura mi rimangano per giorni e giorni.

E questo è stato dimostrato proprio da Boksem: nonostante ogni partecipante al test fosse stato retribuito con lo stesso compenso, la sensazione di fastidio persisteva nei dati rilevati nelle persone che avevano perso.

Imparare a perdere, come ci dicevano da bambini, è molto importante.

E su quello si basano anche le nostre future possibilità di vittoria.
Nell’accettazione della sconfitta entrano in gioco tutti i nostri valori fondanti la nostra personalità e maturazione:
– l’autostima, che ci indica che non siamo etichettabili come perdenti ma che in quell’occasione altri sono stati migliori di noi
– la consapevolezza dei nostri limiti, ampliabili proprio dal confronto con l’altro dal quale possiamo imparare e migliorare
– la voglia di uscire da una zona di confort nella quale ci sentiamo a nostro agio
– la coscienza di sé e capire che l’esperienza e le decisioni giuste vengono anche dalle scelte sbagliate che abbiamo fatto.

Anche ammettere di aver perso può essere difficile.
Perché questa ammissione entra in contrasto con l’immagine che ognuno di noi ha di sé.

Se nella nostra mente siamo straconvinti di essere i migliori, diventa difficile riconoscere una sconfitta che mina questa coscienza e immagine che abbiamo di noi. Per cui se è arrivata la sconfitta, l’impulso è addossarne la colpa ad altre persone o eventi esterni.
“E’ colpa dell’arbitro che ci ha danneggiati” (sottinteso, avremmo dovuto vincere noi perché siamo più forti ma se l’arbitro ci rema contro è impossibile, quindi non è colpa nostra).
“Io ho studiato molto e bene ma la professoressa mi ha fatto delle domande fuori programma…”
Oppure dare la colpa all’organizzazione, agli avversari, ai colleghi, al sistema…a chiunque ma non a noi stessi.
Siamo molto bravi ad attribuirci i meriti per una vittoria e altrettanto propensi a negare le nostre responsabilità in caso di sconfitta.

Al tempo stesso, la sconfitta non ha lo stesso impatto su tutti.
Saper perdere presuppone paradossalmente molti valori positivi, in primis una buona dose di autostima, che non viene messa in dubbio a seconda del risultato ottenuto. Le persone con questa fondamentale qualità riescono a scindere le cose, capendo che aver perso una gara non fa di loro un perdente.

Inoltre avere piena coscienza dei propri limiti aiuta ad affrontare meglio le sconfitte.
È importante capire la differenza tra fallire nel fare una cosa e l’essere dei falliti.
Una sconfitta non ci rende automaticamente dei perdenti.

Queste caratteristiche personali, se non sviluppate e valorizzate, ci possono portare a negare la sconfitta.

Ma la conclusione alla quale dobbiamo arrivare tutti è che per vincere bisogna anche saper perdere. La metafora sportiva è quella che più intuitivamente ci aiuta a capire questo passaggio: immaginiamo un atleta che prova e riprova a fare un movimento tecnico e dopo innumerevoli tentativi riesce far andare il tutto in automatico, abituandosi a costruire sull’errore della pratica quotidiana degli inizi i successi futuri.
Va così anche nel lavoro, quando cominciamo a impratichirci con nuove attività, e nel volontariato, quando gli sbagli commessi ci aiutano a fare meglio in futuro per le persone a cui dedichiamo il nostro tempo.
E quando ti sentirai frustrato per avere perso, ricordati che quello è il primo passo per la tua prossima vittoria.

Spicca il volo!
Riccardo

Se ti è piaciuto condividi!