Un’associazione può assumere qualcuno al proprio interno per svolgere determinate mansioni? Una persona può avere un contratto regolare con un’associazione?
Per rispondere, bisogna fare riferimento alla recente Riforma del Terzo Settore (ti consiglio di leggere l’articolo che ho già pubblicato su questo tema, che spiega le nuove norme e le tipologie associative).
Un esempio è quello degli autisti delle ambulanze. Dipendente o volontario? Dipende… In questo caso, infatti, per garantire il servizio, le organizzazioni che gestiscono il servizio ambulanze sul nostro territorio nazionale si avvalgono sia dei dipendenti che dei volontari. Ogni ente si organizza al proprio interno come meglio crede e sulla base delle forze a disposizione (sia dipendenti che volontari).
Allargando il contesto al mondo del volontariato nella sua totalità, è possibile avere ruoli retribuiti per le attività svolte oppure no?
L’attività dei volontari non può essere ricompensata con una retribuzione fissa, altrimenti verrebbe meno la qualifica di volontario. L’unico caso in cui i volontari possono ricevere denaro dall’associazione è il rimborso per le spese sostenute, purché siano necessarie e documentate con pezze giustificative: il rimborso può avvenire entro limiti predefiniti e secondo quanto preventivamente concordato tra l’associazione e i suoi soci. Per esempio, il volontario può ricevere il rimborso per un pasto effettuato fuori sede perché impegnato in trasferta nell’esercizio dell’attività oppure per le spese di viaggio. Il tutto entro i limiti del buon senso: va quindi evitato di andare a banchettare nel ristorante stellato di un giudice di MasterChef ed è meglio spostarsi con opzioni economiche anziché in prima classe.
Le organizzazioni di volontariato possono anche assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento.
Cosa significa? Se nessuno dei soci ha le competenze per svolgere determinati compiti, l’associazione ha facoltà di rivolgersi all’esterno, anche assumendo delle persone. Per esempio, se nessuno dei soci è in grado di redigere un bilancio d’esercizio associativo, è naturale rivolgersi a un commercialista, che verrà pagato per la prestazione effettuata. In questo caso l’associazione conta sull’aiuto di un collaboratore esterno. I collaboratori esterni possono essere retribuiti in occasione di un determinato incarico, a condizione che il compenso sia occasionale e non sia equiparabile a un vero e proprio stipendio mensile. In questo caso i collaboratori esterni saranno lavoratori autonomi con partita IVA in grado di emettere una fattura intestata all’associazione oppure collaboratori occasionali: l’accordo fra l’associazione e il collaboratore deve specificare, con la massima chiarezza e trasparenza, che non si tratta di un rapporto di lavoro continuativo da dipendente ma di un impegno riguardi un breve periodo di tempo e/o un singolo progetto.
Fatte queste premesse generali, entriamo più nello specifico.
Il Codice del Terzo Settore attualmente in vigore classifica le organizzazioni di volontariato (Odv) e le Associazioni di promozione sociale (Aps) come Enti del Terzo Settore (ETS) che, nello svolgimento delle proprie attività, devono avvalersi in modo prevalente della collaborazione dei propri soci. È però consentito, sia per le Odv che per le Aps, di ricorrere alle prestazioni di lavoratori dipendenti, autonomi o anche di altra natura nel caso questo possa consentire agli stessi enti di raggiungere le proprie finalità istituzionali in maniera migliore.
L’articolo 33 del Codice del Terzo Settore specifica come le organizzazioni di volontariato possano assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure nei limiti occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta. In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività di una Odv non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari. Quindi, se, ad esempio, in una organizzazione di volontariato vi sono 50 soci, il limite numerico di lavoratori è fissato a un massimo di 25 persone.
Le associazioni di promozione sociale (Aps) invece, possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche scegliendo tra i propri associati, anche in questo caso solo quando sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività e al perseguimento delle finalità, entro il limite del 50% del numero dei volontari o al cinque per cento degli associati.
Sull’interpretazione di questi numeri, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha precisato che per calcolare il numero massimo di lavoratori consentiti, vanno considerati solamente i dipendenti e i parasubordinati, in ragione della maggior stabilità e continuità dei rapporti con l’associazione, con esclusione, quindi, delle prestazioni di lavoro autonomo.
Facciamo l’esempio di una Odv che ha 20 volontari regolarmente iscritti a registro e ricorre all’aiuto 4 lavoratori dipendenti e di 8 prestazioni di lavoro autonomo occasionale. Secondo la legge, l’ente in questione potrebbe avvalersi al massimo di 10 lavoratori: poiché si contano solo i dipendenti (in questo caso, 4 e non 12,vale a die la somma di 4 dipendenti e 8 collaboratori autonomi occasionali) la proporzione prevista viene rispettata consentendo all’ente di mantenere la qualifica di Odv, che altrimenti verrebbe revocata.
Ritornando alla domanda di partenza, è quindi consentito sia alle Odv che alle Aps avere dipendenti retribuiti, secondo le disposizioni per ognuna delle due tipologie associative. Ma le Odv non possono retribuire i propri soci (possono solo rimborsare le somme anticipate dai volontari, purché documentate) mentre le Aps possono farlo, pur nel limite numerico indicato sopra.
Il senso della Riforma del Terzo Settore, che prevede l’allineamento di tutte le associazioni a regole normate, è quello di evitare il più possibile forme di confusione tra mondo del volontariato e attività aziendali vere e proprie, avendo i due mondi forme di tassazione e legislazioni completamente differenti.