
Vi sarà capitato, almeno una volta, di trovarvi bloccati nel traffico.
Di solito, le auto procedono con continue fermate e ripartenze a elastico.
E ci domandiamo: perché non procediamo a una velocità bassa ma costante anziché fare più e più volte la fatica di inserire la marcia per fare pochi metri, rallentare fino a fermarci per poi riprendere a fare la stessa cosa?
Cerchiamo di capire cosa abbia provocato il rallentamento e immaginiamo che ci sia un semaforo, un incidente oppure lavori stradali che impongano il passaggio da due a una corsia di marcia.
Invece, secondo diversi studi, all’origine di questi rallentamenti ci sarebbero quelle che sono state chiamate le “code fantasma”.
Cosa sono?
Sono dei rallentamenti che si verificano senza una ragione precisa quando ci sono molte auto sullo stesso percorso e che sono collegabili esclusivamente ai comportamenti individuali delle persone alla guida.
Ad esempio, differenti velocità di crociera, con automobilisti più inclini a tenere una velocità costante e altri a variarla in continuazione, oppure rallentamenti dovuti alla differente percezione di sicurezza che portano un guidatore a stare molto lontano dal veicolo che lo precede e un altro a restare incollato alla macchina davanti, quindi frenando in continuazione per poi riaccelerare.
Tutte queste differenti percezioni alla guida hanno delle ripercussioni sul traffico generale.
Le code fantasma sono caratterizzate da una condizione di traffico intenso ma scorrevole nel quale una decelerazione di lieve entità di una singola vettura provoca un rallentamento leggermente maggiore della macchina che lo segue e così via, come un’onda, per tutte le vetture che seguono, con un rallentamento via via crescente delle macchine, fino al punto in cui un’auto deve fermarsi per non causare incidenti, formando così la coda di veicoli fermi. E tutto questo sarebbe provocato dal lieve rallentamento della prima automobile della fila che, a quel punto, riprende la velocità iniziale.
Molti studiosi hanno analizzato questo fenomeno e hanno condotto vari esperimenti, notando che, per riprodurre le code fantasma, non è necessario un tracciato molto complesso né un numero elevatissimo di vetture.
Tra questi esperimenti, quello di un gruppo di ricercatori dell’Università di Nagoya che nel 2008 effettuarono un test per studiare e capire meglio le code fantasma.
Nel video che riporto in fondo all’articolo, 22 automobilisti conducono le loro vetture all’interno di un semplice circuito lungo 230 metri, partendo dalla stessa distanza tra loro e con l’indicazione di mantenere una velocita di 30 km/h. Trascorsi pochi minuti dall’inizio dell’esperimento, comincia a formarsi una singola coda che poi si ripercuote su tutte le macchine presenti nel circuito. Superata una certa soglia critica di presenze di macchine per un determinato percorso, e in base alle variazioni di un primo singolo guidatore, è impossibile rispettare le condizioni di partenza, arrivando alla creazione delle code e dei blocchi di auto.
Le stesse reazioni si possono avere anche su percorsi autostradali lunghi diversi chilometri, dove, superato un certo numero di vetture presenti, con una conseguente riduzione delle distanze tra i veicoli, il singolo rallentamento di un’auto o il semplice cambio di corsia da parte di un guidatore, provoca delle reazioni da parte di tutti gli altri che, alla fine, non sono più gestibili con aggiustamenti di guida se non con l’arresto delle macchine, che quindi formano le code.
Il primo risvolto importante di questi studi è scardinare il pregiudizio che abbiamo verso gli altri, quando ci mettiamo alla guida di un’automobile: “se c’è una coda, è colpa dell’imbranato di turno che avrà combinato qualche pasticcio, ma perché non guidano tutti decentemente, che cosa ci vuole?!?”
Nella maggior parte dei casi siamo propensi a considerare noi stessi buoni guidatori e, anche quando non ci definiamo all’altezza di un pilota di Formula 1, siamo comunque benevoli e ci consideriamo più capaci della media.
Il nostro livello è quello su cui andrebbero valutate le velocità massime sulle strade: chi guida più piano di noi non è capace a guidare, chi guida più forte è un pazzo suicida, la perfezione va calibrata su di noi…
Il lavoro degli studiosi ha fatto capire che le code fantasma non sono imputabili a una singola persona ma a tutti gli automobilisti presenti su quel tratto di strada che, insieme, concorrono a formare l’effetto finale della coda.
E tra le cause di queste code, ci sarebbe più il fatto che ciascuno si considera un pilota provetto piuttosto che gli sbagli o la modesta capacità di un singolo guidatore.
Sentirsi troppo sicuri alla guida, sopravvalutando le nostre effettive abilità, porta il guidatore a non rispettare le distanze di sicurezza, a giudicare in maniera non corretta i tempi di reazione nella frenata. Il risultato è che poi, accorgendosi istintivamente di un errore, il pilota che pensava di avere la situazione sotto controllo deve correggere all’ultimo momento le proprie mosse per evitare un’incidente e rallentare in maniera più decisa, provocando altre reazioni negli altri guidatori, con conseguenti brusche frenate e accelerazioni che formano così la coda.
Pare che questi effetti e i problemi correlati possano essere notevolmente ridotti dall’introduzione massiccia di intelligenza artificiale sulle nostre automobili. Ma non è questo il punto a cui volevo arrivare.
Quello che mi ha incuriosito, leggendo gli articoli su questo argomento, sono due aspetti in particolare, che mi è venuto spontaneo collegare al volontariato e alla formazione.
Il primo aspetto è quanto sopravvalutiamo le nostre abilità come pilota, attribuendo la responsabilità del problema ad altri.
Ho rivisto moltissime situazioni di gruppo nelle quali ogni persona che partecipava a una discussione sopravvalutava il proprio punto di vista e cercava di assegnare agli altri le responsabilità di un mancato raggiungimento di un risultato. Ci sono cascato anch’io, a volte.
“Io ho ragione e la colpa è degli altri” è la costante di molte discussioni.
L’esperimento sulle code fantasma mi porta al secondo punto sul quale vi invito a riflettere: la responsabilità di un risultato non è mai da attribuire a un singolo ma a una serie di cause concatenate e attribuibili a tutti i soggetti partecipanti.
Magari con sfumature differenti, ma spalmabili su tutte le parti chiamate in causa.
Ricordiamocene, la prossima volta che, in un gruppo, ci ritroveremo ad avere posizioni differenti: “non sono io il pilota migliore di tutti e il risultato della coda (problema) è colpa di tutti”.
Spicca il volo!
Riccardo
Video con dimostrazione dell’esperimento visibile al seguente link:
https://www.youtube.com/watch?v=Suugn-p5C1M&t=3s