A chi non è capitato di perdersi delle informazioni importanti su quanto avviene intorno a noi? Siamo così presi dalla nostra quotidianità e dai nostri mille impegni che, a volte, non diamo la dovuta importanza a quello che succede. Siamo talmente bersagliati da milioni di informazioni ogni secondo, con stimoli visivi, sonori, informazioni di ogni tipo, cose alle quali prestare attenzione per la nostra incolumità che il nostro cervello mette dei filtri per evitare che questa onda gigantesca di dati ci travolga e ci mandi completamente in tilt. Gli esempi sono tantissimi: basti pensare a quando ci mettiamo alla guida e arriviamo a destinazione senza quasi ricordare che percorso abbiamo fatto. Una parte del nostro cervello è attenta a dare istruzioni al corpo per condurre il veicolo in sicurezza e un’altra parte riflette su altre cose, magari distratta dalla radio. O ancora: mentre stiro un paio di pantaloni oppure mentre cucino, difficilmente mi concentro su quello che sto facendo. La mia mente si perde dietro altri pensieri.
Capita spesso con le azioni più meccaniche e ripetitive: siamo talmente abituati a farle che mettiamo il pilota automatico. Il problema è che rischiamo di fare dei pasticci.
Non capita solo con le azioni: lo facciamo anche con i pensieri e con i giudizi.
Avete presente quando diciamo di non ricordarci il nome delle persone che abbiamo appena conosciuto?
“Scusami, ma io con i nomi delle persone sono una frana…” e ce lo facciamo ripetere.
Per poi ridimenticarcelo in fretta nuovamente! Sapete perché capita? Perché quanto una persona si presenta e ci dice il suo nome, noi facciamo tantissime cose tranne ascoltare! Guardiamo come è pettinato, come è vestito, osserviamo la sua espressione – è serena e felice oppure scontrosa? – se ci ricorda qualcuno che conosciamo… Giudichiamo quella persona ancora prima di conoscerla. Quello che abitualmente giustifichiamo con il concetto di provare simpatia (o antipatia) “a pelle”.
In situazioni come questa, non ascoltiamo chi abbiamo davanti, e non sentiamo il suo nome, perché stiamo navigando con la fantasia e costruendo dei film mentali nella nostra testa.
E cominciamo a mettere le persone nelle scatole. La scatola di quelli che ci stanno simpatici, la scatola di quelli che non sopportiamo, la scatola di quelli che consideriamo bravi a fare una determinata cosa, la scatola delle persone a cui sappiamo di poter chiedere un consiglio oppure no.
Il problema di mettere le persone in una scatola è che le etichettiamo in base a una sola caratteristica e non riconosciamo che possano avere mille altre sfaccettature.
Ragioniamo per luoghi comuni. Tu sei un anziano e sicuramente ti piacerà giocare a carte, tu sei una donna e quindi saprai stirare, tu sei un uomo e quindi sarai un fanatico di calcio, oppure ancora sei italiano e sicuramente saprai cucinare bene o sei originario di una regione particolare e quindi più estroverso di un altro che è nato in un’altra regione. Ragioniamo per cliché che ci impediscono di notare quanta ricchezza ci sia in ognuno di noi. Lo spunto per questa riflessione mi è venuto dalla pubblicità di un canale televisivo pubblico danese. In fondo all’articolo trovate il link per vederlo. Nello spot, entrano in scena molte persone che vengono invitate a collocarsi in zone ben precise e delimitate, che le tengono separate dagli altri (come le nostre scatole), in base a caratteristiche esteriori. Per i vestiti che indossano, per il sesso, l’età, oppure per caratteristiche particolari che ce li fanno subito identificare come infermieri, tifosi di una squadra di calcio, impiegati, sportivi. Ogni gruppo – e ogni persona – è ben riconoscibile nella sua “scatola”. Un presentatore dà il benvenuto a tutti e spiega cosa sta per succedere. Farà delle domande alle persone presenti. Qualche domanda potrebbe essere un po’ personale e imbarazzante per qualcuno ma la richiesta è che rispondano onestamente. Chi si riconosce nella descrizione fatta dal presentatore deve uscire dalla propria zona delimitata e raggiungere il nuovo gruppo. “Chi in questa stanza era il pagliaccio della classe?” è la prima domanda. E persone totalmente diverse si ritrovano a formare un nuovo gruppo. Chi è entrato come uomo, chi come infermiera, oppure persona anziana, ragazzino, tatuato o ingegnere ora si ritrova a condividere una particolare caratteristica con una persona con la quale apparentemente non avrebbe nulla a che fare in base alla catalogazione iniziale.
Si formano…nuove scatole! “Chi tra di voi è un genitore adottivo?” la seconda domanda. Anche in questo caso escono dai gruppi iniziali delle persone che magari non avremmo identificato come genitori adottivi, e quindi con le qualità che ognuno di noi attribuisce a chi si mette in gioco compiendo questa scelta. E così le domande si susseguono e le persone si ritrovano in…nuove scatole. Chi crede in una vita dopo la morte? Chi ama la danza? Chi è stato bullizzato? Chi invece ha commesso atti di bullismo nei confronti degli altri? Chi ha fatto sesso nell’ultima settimana? Chi ha il cuore spezzato e chi invece è innamorato ora? Chi si sente solo? Chi è bisessuale e chi riconosce il coraggio negli altri? Chi conosce il significato della vita? Chi invece ha salvato delle vite?
Forse, conclude lo speaker, ci sono molte più cose che condividiamo con l’altro di quanto pensiamo.
E’ facile mettere le persone in scatole differenti, ragionare con la logica del “noi da una parte e loro dalla parte opposta”. Ci sono quelli con cui condividiamo la nostra vita e i semplici passanti, le persone di cui ci fidiamo e quelle che cerchiamo di evitare, quelli che abbiamo appena conosciuto e quelli che ci sono sempre stati, alcuni che vengono dalla campagna e altri che non hanno mai visto una mucca in vita loro, e poi i credenti, quelli sicuri di sé, le persone con cui condividiamo qualcosa e quelle con cui preferiamo non farlo.
Quando ti accorgi di mettere le persone nelle scatole – o di essere stato messo in una scatola – sforzati di fare il primo passo verso l’altro. C’è solo da guadagnare, per tutti. Nella peggiore delle ipotesi, avrai fatto un tentativo andato male.
In caso positivo, si aprirà un mondo in cui potrai rispecchiarti con luce nuova nell’altra persona. Anche nel nostro gruppo di riferimento che diamo magari per scontato, che sia all’interno di un’esperienza di volontariato o sul lavoro o anche, perché no, anche in quei gruppi di persone di cui ci sembra di conoscere già tutto.
Non si smette mai di imparare dall’altro…perché non smettiamo di crescere e di migliorare!