L’eterna lotta tra ottimismo e pessimismo

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Giorni fa mi sono ritrovato a discutere con amici su chi fosse ottimista e chi invece si ritenesse pessimista.

Ognuno aveva valide argomentazioni per ritenersi maggiormente orientato da una parte piuttosto che dall’altra.

L’interpretazione di tutti gli eventi che ci circondano ha avuto una parte fondamentale nello spostare, inizialmente, l’ago della bilancia verso il pessimismo ma alla fine della discussione le parti erano piuttosto in equilibrio.

Indubbiamente, nel definirsi ottimista o pessimista, ognuno si porta dietro il suo vissuto ed è chiaro che nessuno può convincerci di essere dalla parte sbagliata invitandoci a cambiare.

Nel discutere di queste cose, mi sono ricordato di un personaggio letterario iconico: Pollyanna Whittier, protagonista del romanzo di Eleanor H. Porter uscito nel 1913 e diventato il primo di una collana di libri molto famosi nel 20° secolo, con i quali l’editore fece fortuna, facendo scrivere libri ad altri scrittori con la stessa protagonista anche dopo la morte della Porter.
Ne sono state fatte anche molte versioni cinematografiche: la più famosa è del 1960 e consentì alla giovane attrice Hayley Mills di vincere un Oscar “speciale” per gli artisti giovani.

La storia di Pollyanna, seppur immaginaria, racchiude un messaggio profondo e attuale sull’ottimismo e sulla sua straordinaria forza di fronte alle difficoltà della vita.
La protagonista del libro, infatti, Pollyanna Whittier, affronta ogni difficoltà con uno sfrenato ottimismo, fino a renderlo eccessivo e irrazionale in alcuni momenti tanto che ancora oggi, nella cultura americana, la parola “pollyannish” viene utilizzata per indicare chi è instancabilmente ottimista, sempre in grado di trovare gratitudine e positività, qualunque sia la circostanza.
Può addirittura anche indicare una persona così esageratamente da diventare fastidiosa.

La trama del libro racconta come la vita di Pollyanna non sia stata facile fin dall’inizio.
Rimasta orfana di madre in tenera età, viene cresciuta dal padre, con cui instaura un legame profondo e speciale. Tuttavia, la tragedia colpisce nuovamente e anche il padre muore improvvisamente, lasciando l’undicenne Pollyanna sola al mondo.


Senza altri familiari stretti, la giovane viene mandata a vivere dalla zia Polly, una donna severa e austera che non ha mai approvato il matrimonio del defunto cognato. La zia riserva a Pollyanna un’accoglienza fredda e distaccata e la tratta con indifferenza, quasi con crudeltà.

Nonostante le difficoltà e le privazioni, Pollyanna non si lascia sopraffare dalla disperazione.
Grazie agli insegnamenti del padre, ha sviluppato un’insolita capacità di trovare il lato positivo in ogni situazione, anche la più difficile.

Questo suo atteggiamento positivo si concretizza in un “gioco” personale, il “gioco della felicità”: Pollyanna si concentra su ciò per cui può essere grata, anche se piccolo e insignificante, e cerca di trasformare ogni ostacolo in un’opportunità di crescita.

L’ottimismo contagioso di Pollyanna non tarda a influenzare le persone che la circondano. La zia Polly, inizialmente rigida e ostile, inizia gradualmente ad ammorbidirsi e a provare affetto per la nipote.
Anche gli abitanti del piccolo paese dove vivono vengono toccati dalla positività di Pollyanna, che li incoraggia a guardare al futuro con speranza e ad affrontare le sfide con rinnovato coraggio.


La vita di Pollyanna viene nuovamente sconvolta da un tragico incidente: viene investita da un’auto e perde l’uso delle gambe. Sembra la fine del mondo per la giovane, che si ritrova confinata su una sedia a rotelle e dipendente dagli altri per le sue necessità quotidiane.

Ma anche in questo momento di estrema difficoltà, Pollyanna non rinuncia al suo ottimismo. Continua a giocare al “gioco della felicità”, trovando gratitudine per le piccole cose: la luce del sole che illumina la sua stanza, il canto degli uccelli fuori dalla finestra, l’amore e il sostegno delle persone che le vogliono bene.

La storia di Pollyanna ci insegna che l’ottimismo non è solo un atteggiamento mentale, ma una vera e propria forza interiore che ci permette di affrontare le avversità con coraggio e di trovare il lato positivo anche nelle situazioni più buie.

Proprio come Pollyanna, tutti abbiamo la capacità di trasformare le difficoltà in opportunità di crescita e di trovare la felicità anche nelle piccole cose. Il suo “gioco” ci ispira a guardare al mondo con occhi nuovi, a concentrarci su ciò che abbiamo invece che su ciò che ci manca, e a coltivare la gratitudine per le persone e le cose belle che ci circondano.

In un mondo spesso dominato da negatività e pessimismo, la storia di Pollyanna è un messaggio di speranza e di incoraggiamento. Ci ricorda che l’ottimismo è una scelta che può fare la differenza nella nostra vita e in quella di chi ci circonda.

Pensando a questa storia, mi sono chiesto se io sia più ottimista o pessimista.
Pensandoci, direi che nasco pessimista.

Mi ricordo che mia nonna paterna mi diceva da bambino che eravamo tendenzialmente sfortunati come famiglia e che se avessimo avuto una fabbrica di cappelli le persone sarebbero nate senza testa!
Col tempo, ho capito che quella frase di mia nonna era probabilmente una classica espressione figlia di una cultura contadina che si trovava a fare i conti in momenti difficili per tutti.
In effetti, con il passare degli anni ho imparato a riconoscere le fortune che ho avuto nel corso della vita, accettando gli intoppi piccoli o grandi che si sono presentati come incidenti di percorso che capitano a tutti e con i quali bisogna imparare a far buon viso a cattivo gioco.
E mi sono affacciato sul mondo dell’ottimismo.
Dove, a conti fatti, si sta comunque meglio.

Concludendo, sull’ottimismo credo che abbia ragione Albert Einstein:
“E’ meglio essere ottimisti e avere torto che pessimisti e avere ragione”.

E tu come ti definisci, più ottimista oppure pessimista?

Spicca il volo!
Riccardo

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