La mossa sbagliata: perché giudichiamo così in fretta?

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L’ultima volta che sono stato a Londra, girando per le vie intorno a Brick Lane, mi è capitato di vedere un tizio che, seduto davanti alla propria scacchiera, sfidava chiunque volesse giocare con lui.
Pezzi degli scacchi posizionati con cura su un tavolino da campeggio, orologio per partite come da regolamento e voglia di giocare insieme, gratuitamente, per il gusto di farlo.
Quando ho visto questa persona e mi sono avvicinato, stava già giocando una partita con un passante che si era fermato per sfidarlo e un capannello di persone si era radunato per osservare le mosse dei due giocatori.

Io non sono un giocatore di scacchi; conosco le singole mosse con le quali i pezzi possono muoversi sulla scacchiera, ma non mi sono mai impegnato a fare partite serie con altri, per quanto lo trovi un gioco molto affascinante.
A dire il vero, quello che mi ha colpito vedendo quella scena non è stato tanto il gioco in sé quanto osservare le espressioni del pubblico che guardava la partita.

I giocatori erano ovviamente molto concentrati per capire quale mossa fare, valutando le possibili contromosse dell’avversario, quasi delle maschere inespressive.
Ma era il pubblico per me il vero spettacolo: ognuno dei presenti era talmente coinvolto dalle giocate da sottolinearle con una mimica facciale incredibile, passando da sorrisi di approvazione per una buona mossa ad altre di rammarico nel caso uno dei giocatori ne avesse fatta una per loro sbagliata, domandandosi nella loro testa come avesse potuto decidere di farla senza valutarne sufficientemente bene le conseguenze.

“Ma come cavolo ha potuto fare quella mossa?!?!?” era il fumetto che immaginavo sulla testa di qualche spettatore.

Quella scena mi ha parecchio divertito e mi ha fatto riflettere su altre occasioni nelle quali ci comportiamo nello stesso modo.

Ad esempio quando qualcuno critica un atleta per aver fatto un errore nell’esecuzione di un esercizio, magari dimenticandosi di non essere neanche lontanamente in grado di farne uno vagamente simile o quando prende in giro un presentatore televisivo per un errore di dizione, senza considerare che lui non è in grado di parlare senza impappinarsi neanche all’assemblea di condominio.

Eh sì….critichiamo gli altri con molta facilità ma al loro posto faremmo probabilmente molto peggio.
Oppure, nel momento dell’azione, potrebbe capitare anche a noi di commettere gli stessi sbagli, ma sembra che questo pensiero non ci sfiori neanche lontanamente.

Perché?
Questa circostanza viene spiegata con il termine scientifico di divario prospettico, vale a dire un nostro giudizio sfalsato della nostra possibile reazione (o addirittura l’effettiva reazione che abbiamo avuto) quando ci ritroviamo in momenti particolarmente intensi.

Nell’esempio della partita a scacchi, è facile intuire e vedere tutte le possibili mosse da fare in modo razionale quando non siamo noi a giocare.
Stiamo osservando la situazione da una posizione defilata e non siamo noi quelli al centro dell’attenzione.
Non abbiamo quindi nessun risvolto emotivo che ci possa stressare in quella situazione.
Esattamente come può capitare quando dobbiamo dare risposte a un professore che ci sta interrogando e il battito cardiaco aumenta, siamo sotto pressione e questo può mandarci in confusione. Discorso diverso è quando stiamo ascoltando l’interrogazione di qualcun altro e ci sembra tutto più facile.
“Agli altri ha fatto domande facili, a me invece il professore ha chiesto le cose più difficili!” è la frase che molti studenti ripetono tornando a casa…

Questo principio è collegato all’intelligenza emotiva.
In sostanza, ogni volta che ci troviamo in un contesto nel quale siamo sottoposti a una situazione emotivamente molto intensa, la nostra prospettiva e percezione di quella situazione sarà estremamente diversa da quando ci troveremo ad osservare la stessa situazione da esterni.

Quando riusciamo a prendere coscienza di questo principio, siamo in grado di fare due cose molto importanti.

La prima è mostrare una maggiore empatia nei confronti degli altri.
Quando abbiamo un divario di prospettiva, se ci capita di vedere qualcuno che commette un errore grossolano, siamo spesso portati a reagire colpevolizzando l’errore altrui, ragionando su come sia possibile commettere sbagli simili e partendo con luoghi comuni su come le cose siano destinate sempre a peggiorare se siamo circondati da persone del genere.
Queste reazioni non portano però a nulla. Non aiutano né chi a commesso l’errore a rivedere la situazione né noi che l’abbiamo avuta, che ce ne stiamo a sentenziare sull’errore commesso da altri.
L’unico risultato che otteniamo è aumentare la distanza con chi ha commesso l’errore, cosa che diventa più problematica se le persone che critichiamo non sono personaggi con i quali non abbiamo nulla a che fare ma persone con le quali condividiamo un vissuto.

Se, al contrario, siamo in grado di ammettere con noi stessi che in una situazione analoga, i nostri pensieri e le nostre emozioni hanno un peso notevole e potrebbero portarci a commettere degli errori enormi, la nostra prospettiva nel dare un giudizio cambia.
Soprattutto ripensando agli errori che abbiamo già commesso.
In questo caso è più facile riconoscere come ci siamo già trovati anche noi dalla parte di chi ha sbagliato e sappiamo come ci si sente, capendo che possiamo ribaltare la situazione chiedendoci cosa possiamo fare per aiutare, che sia con un’azione concreta oppure, a seconda del caso, una parola gentile e un momento di ascolto.

La seconda cosa molto importante è che riusciamo a costruire delle abitudini migliori.
Proprio così, e per capirlo basta ripensare all’esempio dei giocatori di scacchi.
Cosa li rende migliori?
La pratica.
Si esercitano in continuazione.
Contro tutti, a volte anche contro se stessi. Ripetono le loro mosse e gli schemi finché non hanno provato ogni possibile contromossa a un semplice movimento di un singolo pezzo.
Molto spesso, ripetono una serie di strategie e quando si ritrovano in una situazione nuova, si affidano ai loro lunghi allenamenti e partite per trovare la migliore soluzione di risposta alla mossa avversaria.

Noi possiamo fare lo stesso con le nostre capacità emotive e le nostre reazioni che abbiamo nella vita di tutti i giorni.

Come un maestro di scacchi anche noi possiamo allenare le nostre emozioni, imparando abitudini e comportamenti che ci consentano di rifare le stesse mosse anche quando siamo sotto stress emotivo.
A prescindere che il contesto nel quale ci troviamo sia famigliare o lavorativo, uno stress legato a una determinata singola cosa o in un gruppo del quale facciamo parte, ricordiamoci del divario prospettico e di come giocare una partita a scacchi e guardare farlo da altri, siano cose diverse.

Anche solo per ricordarsi che tutti, ma proprio tutti, commettono errori.
Solo chi non gioca, non commette mai errori.

Spicca il volo!
Riccardo

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