La legge di Parkinson

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Se c’è una cosa che tutti, nessuno escluso, dovremmo migliorare è la gestione del tempo.
Certo, la scusa che ci diciamo è che abbiamo mille cose da fare, lavoro, gestione familiare, spostamenti nel traffico, imprevisti che capitano casualmente proprio nel momento peggiore possibile (come se ci fosse un momento nel quale li affronteremmo col sorriso sulle labbra…).
Insomma, l’universo sembra sempre remare contro e noi non possiamo fare altro che soccombere e lamentarci!

Ci sono certamente impegni ai quali non possiamo sottrarci ma è evidente che persone che si trovano in situazioni identiche possono reagire in modi diametralmente opposti, con risultati molto differenti.
Le persone che lavorano tutto il giorno possono gestire il tempo libero in modo molto diverso.
Ho un’amica che pur avendo tre figli ancora piccoli riesce a ritagliarsi del tempo libero per sé e altri conoscenti che pur non avendo figli si lamentano di non aver mai tempo a disposizione.

Questo perché gestiscono il tempo in modo diverso.

Mi collego alla gestione del tempo riportandovi alcune riflessioni che ho fatto imbattendomi in quelle che vengono definite le leggi di Parkinson, dal nome del suo ideatore.
Cyril Northcode Parkinson era uno storico navale britannico, nato agli inizi del ‘900 e deceduto quasi alla fine del secolo scorso, autore di moltissimi libri, il più famoso dei quali, La legge di Parkinson, appunto, portò alla ribalta nazionale e internazionale come esperto della pubblica amministrazione, oggetto di molti dei suoi studi statistici e non solo.

Questo libro trae spunto da un articolo umoristico sulla burocrazia governativa che Parkinson aveva pubblicato nel 1955 sulla rivista The Economist .
Partendo dai dati e proponendo analisi approfondite, Parkinson si prendeva gioco delle procedure amministrative in vigore in quegli anni, smontando alcuni preconcetti. Ad esempio, l’idea che “se assumo il doppio delle persone avrò il doppio del lavoro fatto“.

Parkinson ironizzava su “l’inevitabilità dell’espansione burocratica” e sosteneva che “il lavoro dura sempre quel tanto che è necessario a colmare il tempo disponibile per compierlo”.

Ecco
la prima legge di Parkinson:
“Il lavoro si espande fino a occupare tutto il tempo disponibile al suo completamento.
Più è il tempo e più il lavoro sembra importante e impegnativo”.

È capitato anche a voi, vero?

La seconda legge, diretta conseguenza della prima, è la legge della futilità di Parkinson:
“Le persone nelle organizzazioni danno un peso sproporzionato a cose banali.
Il tempo speso in agenda sarà inversamente proporzionale alla mole di denaro coinvolta”.

Questa legge è nota anche come bike-shedding effect, ovvero l’effetto rimessa delle biciclette, da un esempio che aiuta a capirne bene il funzionamento:
Immaginate la riunione del consiglio di amministrazione di una grande azienda con due punti da discutere nell’ordine del giorno: un investimento di 10 milioni di euro per un reattore nucleare e una copertura per le bici dei dipendenti per un costo stimato di 350 euro.
La riunione inizia, si svolge con i vari interventi dei consiglieri presenti e termina dopo un paio d’ore.

Analizzando il tempo dedicato a discutere ciascuno dei due punti in programma, si nota che il tempo per decidere se approvare il budget necessario per il reattore è stato di soli 15 minuti.
Nonostante la cifra da stanziare decisamente importante, i presenti sembrano aver pensato che, proprio per l’impegno economico, ogni aspetto tecnico fosse stato già discusso e analizzato da personale specializzato e più competente di loro: meglio, quindi, evitare domande o obiezioni. Risultato: il punto è stato approvato in soli 15 minuti.

Si arriva quindi al secondo punto, la rimessa per le bici che i dipendenti usano per andare al lavoro.

E qui la discussione esplode: uno dei membri del consiglio di amministrazione si vanta di raggiungere l’azienda ogni giorno in bici, a differenza di tanti altri che inquinano con i loro enormi macchinoni; ciononostante, ritiene la spesa richiesta per la rimessa della bici non necessaria.
Qualcuno sostiene che lo spazio previsto è troppo grande rispetto alle reali esigenze, altri obiettano che sapere di poterla mettere al riparo potrebbe incentivare chi ancora non usa la bicicletta. Il discorso si sposta poi sui materiali con i quali realizzare la rimessa, fino ad arrivare al colore e alla forma più o meno conforme a quella della struttura aziendale già presente.
Qualcuno, poi, solleva il dubbio che una spesa di 350 euro è esagerata.
Ed eccoli a discutere per più di un’ora e mezza su questo argomento apparentemente marginale per l’azienda.
Tutto questo per 350 euro, dopo aver approvato in soli 15 minuti una spesa di 10 milioni di euro. 

Vi sembra impossibile un esempio del genere?
Ovvio che no, soprattutto se avete già avuto occasione di partecipare a riunioni simili, anche nel mondo del volontariato e del Terzo Settore.
Molto spesso, se raccontate a qualcuno episodi analoghi a quelli dell’esempio che vi sono accaduti nella vostra associazione di volontariato, il vostro interlocutore vi guarda stupiti e si chiede come sia possibile perdere tempo per questioni apparentemente futili.

Proprio da qui partono la riflessione geniale di Parkinson e la legge della futilità.
Quando siamo chiamati a prendere una decisione, troviamo più facile esporci ed esprimere il nostro parere se l’argomento è di minor impatto: proprio come nell’esempio, è più probabile che diciamo la nostra se si parla di dove mettere la bicicletta rispetto alla complessità di un reattore nucleare. 

Nella mia esperienza nel volontariato ho visto persone litigare sulla scelta del disegno o del colore della maglietta associativa e non preoccuparsi, invece del fatto che i volontari stessero scarseggiando.
O ancora, ho visto nascere incomprensioni per decidere se cambiare il logo associativo e non dedicare la stessa energia a capire come far fronte all’attività necessaria e agli impegni presi.

Abbiamo tutti bisogno di affermarci come persone.

Questo ci porta, a volte, a soffermarci su dettagli di poco conto, credendo di salvare il mondo quando in realtà stiamo affrontando un argomento banale e, soprattutto, ci stiamo allontanando dal vero punto focale.
Capita spessissimo in ambito lavorativo e anche nel Terzo Settore.
Capita, in realtà, in ogni occasione in cui degli esseri umani si riuniscono…

A cascata, il tutto scaturisce in assurde perdite di tempo, a volte con esiti ridicoli: riunioni pianificate per mezz’ora che sforano poi in ore e ore di confronto, discussioni sterili su questioni di principio, ecc.

Succede anche nella vita privata: le dinamiche sono praticamente le stesse, solo che lì non ci confrontiamo con degli esperti che hanno studiato il caso e ai quali sentiamo di poterci affidare.

Come risultato finale ci troviamo a rimandare continuamente delle decisioni su argomenti di poca importanza e, al contrario, ad agire di getto su questioni più complesse e con un impatto rilevante sulla nostra vita.


Abbiamo tutti impiegato settimane per scegliere smartphone e, magari, in banca, abbiamo firmato dei fogli su investimenti senza aver capito bene cosa succederà dei nostri soldi e fidandoci della spiegazione del consulente finanziario.


Andy Warhol sosteneva che nel futuro ognuno sarà famoso per almeno 15 minuti.


Prendiamoci l’impegno reciproco di non volerli nella prossima riunione, altrimenti rischieremo di farla durare troppo!


Spicca il volo!

Riccardo

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