“È un mondo strano quello in cui viviamo”. È una frase che potrebbe benissimo essere pronunciata dal protagonista di un film che analizzi come le cose siano cambiate nel corso degli anni, soprattutto se si osservano i comportamenti umani. Io l’ho pensato qualche settimana fa quando mi sono imbattuto nella cosiddetta Legge di Cunningham e ho cercato di capire meglio di cosa si trattasse.
(Spoiler: non sto parlando di quello nella foto, anche se ognuno di noi ha sicuramente pensato a lui).
La tecnologia ha avuto, nel corso degli anni, un impatto sempre più forte sulle nostre vite: se un tempo, per cercare informazioni, era normale aprire il dizionario o l’enciclopedia oppure fidarsi di quanto riportato sui giornali o in tv, oggi è sufficiente fare una rapida ricerca su Internet per avere una risposta. Purtroppo succede che, nel mare di informazioni che si possono trovare in rete, non tutte siano attendibili e si corre il rischio di avere notizie non del tutto corrette se si capita su siti non aggiornati o tenuti da persone non qualificate.
Secondo la Legge di Cunningham, “il miglior modo per ottenere la risposta giusta su Internet non è porre una domanda, è pubblicare la risposta sbagliata”. Questa affermazione si basa sul fatto che, di fronte a un’inesattezza errore, inevitabilmente qualcuno avrà subito la voglia irrefrenabile di correggerla, generando una discussione.
L’ideatore della Legge di Cunningham è Steven McGeady che, nel 2010, rispose così a un articolo online del New York Times che chiedeva ai lettori di indicare delle massime che la tecnologia avesse reso vere ai giorni d’oggi, un po’ sulla falsariga della Legge di Murphy (il paradosso che recita che se qualcosa può andare storto, lo farà). Steven McGeady pubblicò questa affermazione fissandola simpaticamente come Legge e dedicandola a Ward Cunningham, ideatore del primo sistema software Wiki nel 1995, vale a dire la base per un sito web che permette a ciascun utente di aggiungere nuovi contenuti o di modificare quelli già esistenti. Il nome Wiki non ha niente di informatico in senso stretto: Cunningham lo usò solo perché in quel periodo si trovava alle Hawaii e gli era capitato di utilizzare i WikiWiki Shuttle, i bus navetta che collegano i terminal dell’aeroporto di Honolulu. Ne riprese il significato letterale perché, in lingua hawaiana, wiki significa veloce, wikiwiki significa molto veloce. Il software fu poi ampliato nel corso degli anni. Tutti vi abbiamo tutti fatto ricorso, consultando ad esempio una pagina di Wikipedia (nata nel 2001 ma a cui però Cunningham non è collegabile). Proprio Wikipedia, secondo McGeady, è la dimostrazione più eloquente della Legge di Cunningham perché il sito si basa proprio sulla possibilità di chiunque di inserire notizie e informazioni o di ampliare e correggere quanto già pubblicato.
Successivamente alla prima pubblicazione del suo concetto, McGeady ha spiegato che, navigando in Internet, potrebbe essere difficile ottenere una risposta precisa facendo una domanda: la rete fornirebbe diverse risposte. Ma se qualcuno afferma una cosa sbagliata in Internet, i cultori della materia interessata o quelli sicuri della risposta esatta si sentiranno in dovere di segnalare l’errore.
Per fare un esempio, se una persona volesse chiedere quale forma di governo abbia il nostro Paese, si potrebbe generare una discussione tra chi, correttamente, sostiene che sia una repubblica parlamentare e chi crede, invece, che sia una monarchia; se i sostenitori di quest’ultima ipotesi partecipassero in massa al dibattito su quella pagina, l’ignaro utente potrebbe farsi un’idea sbagliata. Se, invece, qualcuno affermasse in rete che oggi l’Italia è una monarchia, si presume che verrebbe contraddetto subito da una folta schiera di utenti.
Lo ripeto: è un mondo strano quello in cui viviamo. Questo vale in qualsiasi campo. Quando mi sono imbattuto nella Legge di Cunningham, che manifesta l’intento di voler avere una risposta corretta dopo aver indicato un’affermazione volutamente sbagliata, non ho potuto fare a meno di prenderla come spunto per analizzare alcune dinamiche che si verificano nelle discussioni tra le persone.
Affermare una cosa non corretta con lo scopo di ottenere una reazione da chi ci sta davanti è una tecnica oratoria molto sottile, che si utilizza soprattutto in casi in cui ci sia una disparità di “potere” nella relazione. Per esempio, un professore che esordisce con un’affermazione esagerata per ottenere una reazione dai suoi studenti, magari distratti, e coinvolgerli nella lezione. Oppure un imprenditore che vuole spronare i suoi dipendenti.
Nel caso di una discussione tra persone con idee differenti e senza disparità di ruoli, le cose variano leggermente ma rimane presente la volontà di correggere l’altro o coglierlo in errore. A prescindere dall’intento di chi sta parlando, rimane comunque presente la volontà, da parte di chi ascolta, di analizzare cosa ci sia di sbagliato nel discorso dell’altro, per valorizzare il proprio punto di vista.
Facciamo un esempio. Discussione tra persone con differenti vedute. La prima sta esponendo la propria opinione su un determinato argomento. Non è ancora arrivata alla conclusione del suo discorso che chi lo ascolta ha già individuato almeno un paio di punti sui quali non è d’accordo e su quelli si concentra per controbattere. Più che guardare a cosa ritenga giusto e condivisibile nel discorso generale di un’altra persona, si cercano subito i dettagli non corretti, per quanto, magari, marginali. Oltretutto, molte volte queste nostre interpretazioni non si basano su dati certi ma su sensazioni e opinioni personali.
Vale secondo me in ogni ambito, da quello familiare a quello lavorativo, dal gruppo di amici all’associazione di volontariato: in ogni contesto ci si può ritrovare in una situazione analoga a quella descritta dalla Legge di Cunningham.
E se invece ci dessimo il tempo per ascoltarci e soprattutto spiegarci con calma? Forse sarebbe una vera e propria rivoluzione nei rapporti umani!