Il “problema” nel gruppo: come riconoscerlo e trasformare l’ambiente formativo o di volontariato

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Qualche anno fa parlavo di problemi e conflitti all’interno dei gruppi con un conoscente e mi fece una battuta che recitava più o meno così:
“Se non sai indicare immediatamente chi è lo scemo del villaggio in cui abiti, beh…forse hai un problema…”
Infatti partiamo sempre dal presupposto che siano gli altri a essere la parte in difetto, quando in realtà potremmo essere noi, quindi le prossime righe vanno comunque lette all’insegna dell’obiettività ripensando anche quando ci siamo trovati noi a essere – più o meno consapevolmente – l’elemento di disturbo.

È una situazione in cui ci siamo trovati tutti, almeno una volta.
Sei parte di un gruppo di volontari impegnati in un progetto importante, o partecipi a un team in altri ambiti (lavorativo ma non solo), e tra le persone emerge una figura che sembra rovinare l’armonia. 
Questo individuo diventa una fonte di tensione, malessere e, a volte, di conflitto aperto. 
Sì, sto parlando di quel membro problematico del gruppo, quella persona che sembra avere un talento naturale nel creare situazioni difficili.

In un contesto lavorativo, si parla spesso di “quel rompiscatole” (ma gli epiteti possono essere molto più fantasiosi e offensivi) per definire qualcuno che rende l’ambiente tossico. 
Ma questo tipo di dinamica esiste anche nel volontariato e nella formazione: ogni gruppo può avere quella persona che crea scompiglio e mina la coesione.
E se non riesci a identificare questa persona, c’è la possibilità che, senza saperlo, tu stesso sia visto in questo modo dagli altri.

Ma come riconoscere e affrontare queste situazioni, sia che tu sia la persona in questione, sia che tu debba gestire un gruppo che ha a che fare con un elemento destabilizzante? 
Ho avuto modo di parlare con diverse persone, e ho raccolto esperienze di chi, con il senno di poi, ha capito di aver svolto proprio quel ruolo all’interno del proprio gruppo. 
Quello che segue è un elenco di comportamenti tipici, accompagnato da riflessioni su come correggere il tiro e contribuire a un ambiente più sano e produttivo.
Non è esaustivo né definitivo e, ahimé, è anche il frutto dell’esperienza basata su tante situazioni e anche molti errori che ho fatto in prima persona.

1. Disconnessione e disimpegno: “Lasciare senza andarsene”

Uno dei primi segnali di un comportamento tossico in un gruppo, sia nel volontariato che nella formazione, è il disimpegno.
Può sembrare innocuo all’inizio: arrivi in ritardo alle riunioni, non partecipi attivamente alle discussioni o ti limiti a fare il minimo indispensabile. 
Ma quando questa tendenza diventa la norma, gli altri cominciano a percepirla come un vero problema.

Nel volontariato, disimpegnarsi significa non onorare i propri impegni. Magari hai promesso di dedicare del tempo a un progetto, ma poi cominci a fare meno di quanto promesso, lasciando che gli altri si facciano carico del tuo lavoro. Questo crea risentimento e malcontento, e non passa inosservato.

In un contesto formativo, disimpegnarsi può voler dire partecipare in modo superficiale a un progetto di gruppo, senza portare contributi reali. Questo genera frustrazione negli altri membri, che devono colmare le tue mancanze. Se ti riconosci in questo atteggiamento, è importante fare un passo indietro e riflettere su ciò che sta accadendo. Stai perdendo interesse? Ti senti frustrato? È il momento di avere una conversazione onesta con il gruppo e capire come migliorare la situazione.

2. Approfittarsi delle circostanze

Un altro comportamento tossico emerge quando le circostanze cambiano e tu ne approfitti per giustificare atteggiamenti negativi.
Ad esempio, se ti è stata concessa flessibilità, potresti sentirti autorizzato a non rispettare scadenze o a non partecipare agli incontri. 
Magari un’organizzazione ti ha dato la libertà di gestire il tuo tempo, ma tu ne hai abusato, mettendo in difficoltà il resto del gruppo.

Può capitare di sfruttare la tolleranza di un responsabile o la mancanza di controllo su certi compiti per sottrarsi alle proprie responsabilità. In entrambi i casi, questo comportamento mina la fiducia reciproca e crea tensioni nel gruppo. Se riconosci questo atteggiamento in te stesso, è importante tornare sui tuoi passi e ristabilire un senso di responsabilità verso il gruppo.

3. Lamentarsi e spettegolare

Un altro segnale che potresti essere l’elemento destabilizzante del gruppo è la tendenza a lamentarti costantemente o a spettegolare. Questo è un comportamento tossico classico che può distruggere l’atmosfera in qualsiasi gruppo.
Si dice che la miseria ami la compagnia.
Se ti trovi a passare più tempo a parlare male di altri membri del gruppo, del coordinatore del progetto o dell’organizzazione stessa, probabilmente stai contribuendo a creare un ambiente negativo.

Questo si manifesta spesso quando un membro del gruppo comincia a seminare malcontento, criticando ogni decisione o lamentandosi continuamente del lavoro degli altri. Può accadere che una persona trascini gli altri in discussioni negative, creando un clima di sfiducia e di frustrazione generale.

Se ti rendi conto di comportarti in questo modo, chiediti: sto davvero contribuendo in modo costruttivo? Oppure sto solo sfogando il mio malcontento? Il primo passo per uscire da questa spirale è cambiare prospettiva: invece di concentrarti su ciò che non va, prova a identificare soluzioni pratiche e a lavorare insieme agli altri per migliorare la situazione.

4. Scaricare la colpa sugli altri

Quando le cose non vanno come vorresti, potresti essere tentato di cercare colpe all’esterno. Questo è un meccanismo di difesa comune: anziché assumerti la responsabilità per ciò che sta accadendo, attribuisci la colpa agli altri.
Potresti accusare il coordinatore di non aver dato istruzioni chiare, oppure potresti incolpare altri membri del gruppo per non aver fatto abbastanza.

Quale che sia l’ambito al quale stai pensando, potrebbe significare attribuire agli altri la colpa per un progetto che non è andato come previsto, senza riflettere sul tuo contributo. Ma scaricare la colpa sugli altri non risolve nulla. 
Anzi, distrugge la coesione del gruppo e crea tensioni.
Se ti rendi conto di essere caduto in questo schema, è il momento di fermarti e riflettere: Cosa posso fare per migliorare la situazione? Prendersi la responsabilità è il primo passo per recuperare la fiducia degli altri e migliorare la dinamica del gruppo.

5. Reagire in modo aggressivo: “Passare dal passivo-aggressivo all’aggressivo”

Quando la frustrazione raggiunge il punto di rottura, potresti notare un cambiamento nel tuo comportamento: diventi difensivo e reagisci in modo aggressivo. Questo è uno dei segnali più evidenti che qualcosa deve cambiare. Anche in un contesto di volontariato, potresti rispondere in modo esagerato a critiche o richieste, vedendo attacchi personali dove non ce ne sono.

Potresti diventare il membro del gruppo che reagisce male a feedback costruttivi, interpretando qualsiasi osservazione come un’offesa. Questo atteggiamento non solo crea un clima di tensione, ma impedisce anche un confronto sano. Se ti riconosci in questo, è importante lavorare sulla tua gestione delle emozioni. Invece di vedere ogni interazione come una sfida alla tua autorità, prova a vedere il feedback come un’opportunità di crescita.

6. Mancanza di onestà: “Essere meno onesti e sinceri”

L’onestà è uno degli elementi fondamentali per costruire la fiducia all’interno di un gruppo. Quando si comincia a mentire o a nascondere la verità, la fiducia crolla. Se ti rendi conto di aver nascosto informazioni, esagerato problemi o non essere stato sincero con gli altri membri del gruppo, è il momento di correggere la rotta.

Questa mancanza di fiducia può significare non essere trasparente sulle difficoltà che stai affrontando o non dire chiaramente che non puoi gestire un incarico.
Può voler dire non ammettere di avere bisogno di aiuto, preferendo far credere che tutto vada bene. La trasparenza è essenziale per creare un ambiente sano e coeso: essere sinceri sulle proprie difficoltà non è segno di debolezza, ma di forza.

7. Riconoscere quando è ora di cambiare

Infine, uno dei segni più chiari che qualcosa deve cambiare è quando ti rendi conto che il tuo comportamento sta distruggendo le relazioni all’interno del gruppo. Questo può portarti a due soluzioni: migliorare le tue prestazioni e il tuo atteggiamento, o riconoscere che forse è il momento di lasciare quel progetto o gruppo. A volte, cambiare ambiente è la decisione migliore, soprattutto se ti accorgi che non sei più in linea con gli obiettivi del gruppo.

Se riconosci che non hai più lo stesso entusiasmo iniziale per il progetto o per il gruppo del quale fai parte, prima di diventare realmente un problema per gli altri se non riesci a invertire al rotta, valuta seriamente di cambiare.
Invece di continuare a peggiorare le dinamiche del team, prenditi il tempo per riflettere su ciò che vuoi davvero e trova un nuovo percorso che ti soddisfi di più, senza addossare agli altri le colpe della tua stanchezza.

Conclusione: riconoscere e correggere le dinamiche tossiche

Che tu faccia parte di un progetto di volontariato o di un gruppo di studio o di lavoro, è importante essere consapevoli del tuo impatto sugli altri. Se ti rendi conto di avere atteggiamenti che minano la coesione del gruppo, è fondamentale riconoscerlo e lavorare su te stesso. Non è mai troppo tardi per migliorare e contribuire in modo positivo.

E tu, hai mai vissuto situazioni in cui ti sei reso conto di essere parte del problema? Come hai affrontato la situazione e come hai cambiato il tuo comportamento per il bene del gruppo?

Spicca il volo!
Riccardo


 
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