Come possiamo far sbocciare il talento presente nel nostro gruppo?

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Quando andavo al liceo c’era una domanda che mi ponevo spesso e alla quale non riuscivo a dare risposta.
La cosa mi faceva salire il nervoso e mi stupiva molto che nessuno si accorgesse di quel fatto che per me era evidente.
La domanda che mi ponevo era: “Ma com’è possibile che, confrontando le classi di uno stesso anno scolastico, in una sezione sono tutti bravi in matematica e in quella a fianco, invece, molti studenti hanno voti bassi e vengono rimandati?
E come mai, in questa seconda sezione quasi tutti riescono a raggiungere voti soddisfacenti in latino e nella classe limitrofa, invece, ogni volta che la professoressa riconsegna i compiti in classe, i risultati sono pessimi?
Non parlo solo di risultati delle singole prove e delle valutazioni a fine anno ma anche del tempo richiesto per completare il programma previsto: gli studenti di una delle due sezioni riuscivano a completare il programma in meno tempo rispetto a quelli dell’altra, mentre agli altri era necessario un impegno costante decisamente superiore.

Mi domandavo: è possibile che tutti quelli bravi in matematica siano casualmente capitati nella stessa sezione e quelli bravi e portati per le materie letterarie in un’altra?

Trovavo improbabile questa casualità la e pensavo che probabilmente qualche insegnante dovesse essere più bravo degli altri a spiegare la propria materia.

Questa spunto di riflessione mi accompagna sempre nel cercare di capire come un gruppo possa dare a tutti la possibilità di esprimere al meglio le proprie qualità.

Naturalmente possono esserci delle ragioni oggettive alla base.
L’Austria è molto brava a valorizzare il talento dei giovani sciatori che cercano di emergere, molto più di quanto facciano in Etiopia dove, invece, troviamo eccellenti maratoneti.
Le differenze ambientali tra questi due Paesi sono evidenti e già spiegano che instradare un giovane allo sci dove non nevica è complicato.
Ma torniamo agli sciatori austriaci: ipotizziamo che in un determinato periodo – cinque o sei anni – questi vincano un buon numero di gare rispetto a quelli svizzeri, che partono da analoghe condizioni ambientali.
In quegli anni, probabilmente si sono verificate delle condizioni che hanno aiutato a valorizzare il talento degli sciatori austriaci.

Quali sono i fattori che possono aiutare o vincolare le capacità per emergere ed essere di aiuto al gruppo di cui fa parte?
E quanto un gruppo è capace di valorizzare il talento che ha al suo interno?
Vale in ambito familiare, nel contesto lavorativo, nei gruppi di persone e anche in tutte le organizzazioni di volontariato.

Per mettere ordine a questi quesiti, ho trovato utili le valutazioni di James Flynn.
James Flynn era uno psicologo americano noto per l’effetto al quale ha dato il suo nome.
In sostanza, Flynn ha notato come, nel corso degli anni e col passare delle generazioni, il quoziente intellettivo (QI) medio della popolazione sia aumentato in modo costante e progressivo.
Là dove prima le persone si confrontavano con un mondo materiale e ragionavano più che altro sulla possibilità che un evento si potesse verificare o sulla sua utilità, col passare dei secoli l’umanità ha cominciato a confrontarsi con realtà più complesse e ad aggiungere anche ragionamenti più astratti, formulando ipotesi su cosa sarebbe potuto accadere invece di cosa accade.

Flynn comincia a studiare i risultati dei test per calcolare il quoziente intellettivo e nota come ci sia stato un sostanziale miglioramento negli anni: oggi il valore medio del QI è 130, un secolo fa era pari a 70: valore che, secondo i parametri attuali, è considerato prossimo al ritardo mentale!

Flynn, pertanto, si domanda se i nostri nonni fossero alla soglia della demenza oppure se al giorno d’oggi ci possiamo considerare tutti dei geni.
Nessuna delle due è la risposta corretta.

Flynn elabora una terza alternativa per spiegare questi dati e lo fa con un esempio.
Immaginiamo che un marziano scenda sulla Terra e trovi una civiltà in rovina abbandonata a se stessa.

Questo marziano trova dei bersagli usati dalla gente per esercitarsi al tiro a segno.
Essendo il nostro marziano un tipo preciso e desideroso di capire le cose, comincia ad analizzare in modo scientifico i bersagli utilizzati nel corso dei secoli.
Guardando i bersagli utilizzati nel 1865, giunge alla conclusione che in un minuto era stato possibile, in quell’anno, colpire il bersaglio con un solo colpo.
Osservando i bersagli del 1898, il marziano intuisce che nello stesso lasso di tempo erano stati sparati cinque colpi nel bersaglio.
Poi, esaminando un bersaglio del 1918, conclude che in quell’anno ben cento colpi raggiungono il centro dell’obiettivo, sempre in un minuto. E così via con un miglioramento costante studiando i bersagli dei successivi anni.
La prima riflessione del marziano sarebbe chiedersi se i test del tiro a segno fossero stati utilizzati per capire quanto i tiratori avessero mano ferma e vista buona e quanto sapessero padroneggiare l’arma.
E in questo caso si domanderebbe come sia possibile un tale miglioramento nelle prestazioni.

Noi sappiamo che non sono le abilità delle persone a essere cresciute ma le armi a disposizione a migliorare nelle prestazioni: dai semplici moschetti nel 1865 ai fucili e, infine, delle mitragliatrici. 

Ampliando il ragionamento, Flynn dimostra che le differenze di QI tra una popolazione e un’altra oppure tra persone di latitudini differenti non sono genetiche ma dovute a tradizioni sociali, condizioni socio-economiche, condizioni familiari ed educative.

Quindi non siamo più intelligenti dei nostri nonni ma c’è stata una migliore capitalizzazione dei talenti a disposizione.
Il fine ultimo di qualsiasi gruppo dovrebbe essere quello di garantire il terreno più fertile possibile affinché le doti e capacità dei membri possano trovare il modo migliore per esprimersi.

E tu, cosa stai facendo per permettere al tuo talento e a quello di chi fa parte del tuo gruppo di potersi esprimere?

Spicca il volo!
Riccardo

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