10 – 100 – 1.000: La matematica del volontario

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Che emozioni provi quando fai volontariato?
Ma come fai a farlo? …io non ci riuscirei mai…
Queste sono solo alcune delle molte domande che vengono rivolte a chi fa volontariato.

Più che gli aspetti pratici (cosa e come si fa), quello che, di solito, incuriosisce, è l’aspetto emozionale: le persone vogliono capire cosa “sente” il volontario.
Nella mia esperienza, questo “sentire” – non con le orecchie ma con il cuore – è la cosa più difficile da spiegare.
Le persone vogliono sapere cosa provano i volontari nello svolgere le loro attività e molto spesso la risposta non riesce a soddisfare tanta curiosità.

È una questione di linguaggio.

Se ci pensate bene, in qualsiasi attività o gruppo si utilizzano termini che sono comuni a chi lavora in quel settore ma, spesso, sono difficilmente comprensibili a chi non ne fa parte.
Pensate agli slang giovanili, totalmente incomprensibili per altre generazioni, oppure a parole che utilizzate nel vostro nucleo familiare e all’interno del quale quelle parole hanno un significato preciso.
Io, ad esempio, mi esprimo in famiglia usando parole inventate da mia nipote quando ha cominciato a parlare: “Cimamino” per dire pigiamino oppure “Eccopicioccio!” come intercalare.
A onor del vero, non abbiamo ancora capito cosa voglia dire, esattamente, a distanza di anni…ma lo usiamo lo stesso!

Lo stesso ragionamento vale per le emozioni, che sono ancora più difficili da far capire a chi non condivide con noi una determinata esperienza, come il prendersi cura degli altri o impegnarsi per un miglioramento a beneficio di tutti, a seconda dell’attività di volontariato che abbiamo scelto e al quale dedichiamo il nostro tempo.

Sia per le parole che per le emozioni, pur non volendo escludere gli altri, è difficile spiegare quello che proviamo su un vissuto che non è condiviso. 
Manca un “codice comune” per poter condividere le emozioni che si provano quando si è impegnati a svolgere i propri servizi, che sia prendersi cura di un anziano in casa di riposo o aiutare persone meno fortunate in una mensa.
Per esperienza personale e dei tantissimi volontari con i quali ho collaborato in oltre vent’anni, le emozioni, quello che si sente, è l’aspetto più difficile da far capire a chi non ha provato sulla propria pelle determinate esperienze.
Una curiosa formula che mi è stata trasmessa molti anni fa cerca di spiegare matematicamente questo aspetto:
10 – 100 – 1.000.

Non preoccupatevi, non parto con spiegazioni scientifiche: l’esempio è molto più semplice di quanto si possa pensare.
Eccola svelata:

il volontario cerca di impegnarsi al massimo per dare 10,
quando le cose vanno bene, alla persona a cui rivolgiamo il nostro servizio arriva 100,
1.000 è quanto, magicamente, ritorna al volontario.

Come vedete, molto di più di quello che si è cercato di dare.
Non solo non si riesce a spiegare bene cosa facciamo… Ma quello che ci si porta a casa è sempre molto di più!
E come si fa a spiegarlo?
Quello che si riceve non è tangibile e nemmeno spiegabile a parole.

Fa parte di quel bagaglio di emozioni che cresce col tempo e che fornisce energia al motore che ci spinge a continuare in un progetto di volontariato.

A volte basta poco. Con le emozioni è così.
E le emozioni non si possono spiegare: si vivono, in uno scambio continuo che, anche nelle situazioni più difficili, ci fa andare avanti, perché proprio nello scambio si ritrovano forza ed
energia.


Per condividere le emozioni, quindi, il sentiero giusto da percorrere è semplicemente: aprire il cuore e, più che raccontare quanto fatto per gli altri (il 10), lasciarsi trasportare nel raccontare cosa abbiamo ricevuto in cambio (il 1.000)… E magari coinvolgere così chi vi ascolta. 


Spicca il volo!

Riccardo

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